Un anno senza Michela Murgia, ma non senza quello che ci ha lasciato: le sue idee (e le sue battaglie)

A un anno dalla scomparsa di Michela Murgia, ecco perché la scrittrice e attivista non è più viva (e necessaria) che mai.

È passato un anno da quando Michela Murgia non c’è più e, a costo di apparire retorico, dirò la frase più abusata e inflazionata quando una persona muore: non è vero che non c’è più, che se n’è andata, è rimasta esattamente dove sa di poterla trovare chi l’ha conosciuta, persino chi l’ha solo sfiorata.

Lo dico con cognizione di causa, perché Murgia ha dimostrato quanto potere abbiano le idee che non conoscono corruzione, paura, ombre. Sono idee che si fanno coscienza, quindi azione, perciò movimento: solo così hanno la forza di restare, durare, scavalcare la morte. È così che Michela Murgia è rimasta e rimarrà: attraverso il coraggio dei suoi pensieri, attraverso lo sguardo con cui ha osservato il mondo, attraverso le lotte per renderlo un posto accogliente, consapevole, gentile.

Michela Murgia, che non ha mai avuto paura di essere scomoda

C’è stato un tempo in cui non sopportavo Michela Murgia. Mi infastidiva. Spesso ero d’accordo con lei, ma altrettanto spesso volevo che la sua posizione fosse più tiepida, accomodante, fumosa. E invece lei era sempre decisa, risoluta, puntuale. Sempre centrata. La verità è che, quando una persona è centrata, diventa divisiva, semplicemente perché sta da una parte sola. E sa starci: non è una posa, ma una posizione.

Michela Murgia mi infastidiva perché non ero ancora capace di difendere le mie idee come faceva lei. Non ero capace di prendermi le conseguenze delle mie idee. Lei invece sì. Lei era ed è una, per questo ha saputo vivere e morire. Per questo ha saputo scrivere. E per questo, soprattutto, è stata e resta una bussola, un faro acceso. Per questo ha imparato il coraggio, immagino, per non disunirsi. Per non essere mai solo un pezzo di sé, ma tutta intera. Per essere parte del mondo. Per non morire mai prima di morire.

Forse mi infastidiva perché mi obbligava a pensare, a spostare il pensiero al di là di quello che credevo bastasse, a non fare resistenza quando era evidente che bisognava saperne di più. Non so perché ci abbia messo un po’ di tempo a comprendere lo spessore, la caratura di una donna come Michela Murgia, forse semplicemente perché avevo paura di non sapere, di essere piccolo, impreparato.

Le battaglie di Michela Murgia

Michela Murgia è venuta a mancare il 10 agosto 2023, all’età di 51 anni.  È stata una scrittrice, un’attivista, una intellettuale, ma – soprattutto – sempre e coerentemente una voce libera. Ha lottato strenuamente per i diritti civili, per le donne, le persone queer, le famiglie omogenitoriali, per il fine vita: qualsiasi cosa potesse dare dignità a ogni singola persona era di suo interesse. Nicola Lagioia, scrittore e amico di Murgia, nel ricordarla su Instagram dopo la sua morte, ha detto «Michela era una donna molto veloce in un paese lentissimo».

Ha anticipato fenomeni, aperto dibattiti, ha portato alla luce un nuovo concetto di famiglia, quella che lei chiamava la queer family, in cui le relazioni contano più dei ruoli e i rapporti superano la performance dei titoli legali e limitano le dinamiche di possesso. Lei stessa era parte di una queer family, di cui facevano e fanno parte i suoi quattro “figli dell’anima”, come li chiamava lei. Con la madre di Raphael, il più giovane dei suoi figli, Murgia ha costruito una famiglia omogenitoriale fondata sull’affetto e una profonda stima reciproca.

Michela Murgia non si è tirata indietro nemmeno di fronte a questioni di tipo politico-culturale, ha parlato apertamente di fascismo (celebre è il libro Istruzioni per diventare fascisti), di quanto sia pericoloso pensare che non esista più o che non possa tornare in forme diverse da quelle che la storia ci ha insegnato (famosa è la sua frase «Fascista è chi fascista fa»).

Dal suo esordio letterario con Il mondo deve sapere fino al suo ultimo libro Tre ciotole, che è certamente quello più politico e radicale, Murgia ha portato il suo sguardo femminista, anti-fascista e queer in ogni sua opera. Ha scritto cinque libri (Accabadora, il più famoso, le è valso il premio Campiello, Dessì e SuperMondello) e innumerevoli saggi (Dare la vita e Ricordatemi come vi pare sono postumi): in ogni suo lavoro ha proposto il suo punto di vista mai conciliante e sempre lucido, la sua penna tagliente e ironica e la coerenza di una donna che è sempre rimasta fedele a un solo ideale: la libertà.

In conclusione…

Oggi non ho rimpianti, perché Michela Murgia, a un anno dalla sua scomparsa, ha dimostrato di essere sopravvissuta alla sua morte. Il modo in cui ha vissuto, in cui è morta, quello che ha scritto, le lotte che ha fatto, i pensieri che ha condiviso, tutte queste cose hanno cambiato la nostra visione del mondo, quindi il mondo stesso.

Porteremo avanti tutto. E continueremo a chiederci «Cosa avrebbe fatto lei?» ogni volta che sarà necessario. La risposta ce l’abbiamo, è rimasta al di qua della vita. Dobbiamo solo essere all’altezza dell’eredità che ci ha lasciato.

«Ricordatemi come vi pare. Non ho mai pensato di mostrarmi diversa da come sono per compiacere qualcuno. Anche a quelli che mi odiano credo di essere stata utile, per autodefinirsi. Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto, dipende da quale mondo ti fai».

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