Con oltre 170 morti e 500 arresti, il governo ha risposto con misure repressive ai manifestanti che rivendicano migliori condizioni lavorative. La comunità internazionale, incluso il premio Nobel Muhammad Yunus, ha chiesto un intervento per fermare la strage in corso
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Il Bangladesh è oggi teatro di una crisi grave e crescente. Ciò che era iniziato come una protesta contro il sistema delle quote nella pubblica amministrazione si è trasformato in una rivolta nazionale contro il governo del Primo Ministro Sheikh Hasina, in carica dal 2009. Con oltre 170 morti e più di 500 arresti, la situazione è fuori controllo.
La genesi delle proteste
Le proteste sono esplose dopo che la Corte Suprema ha confermato una sentenza che ripristina il sistema delle quote, abolito nel 2018, e che riserva fino al 30% dei posti di lavoro nel settore pubblico ai parenti dei veterani della guerra di indipendenza del 1971. Nonostante la Corte Suprema abbia ridotto la quota al 5%, il risentimento popolare, e soprattutto studentesco, non si è placato.
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Si tratta di una misura che i manifestanti considerano come un ostacolo alle assunzioni basate sul merito. Le prime manifestazioni hanno avuto luogo nelle università, dove gli studenti hanno espresso il loro dissenso verso un sistema percepito come ingiusto e discriminatorio.
La reazione del governo
Il governo ha risposto con estrema durezza, schierando l’esercito, bloccando internet e le telecomunicazioni e chiudendo scuole e università. Queste misure repressive non hanno fatto altro che aumentare la rabbia dei manifestanti, che hanno lanciato un ultimatum al governo: porre fine alla repressione e abolire la legge sulle quote, altrimenti i disordini continueranno e si intensificheranno.
L’escalation della violenza
La situazione è rapidamente degenerata. Gli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine sono diventati sempre più violenti, con numerose vittime civili. Video e testimonianze mostrano la brutalità della repressione, con la polizia che spara a vista sui manifestanti disarmati. Le immagini di Abu Saeed, studente di 25 anni ucciso dalla polizia, sono diventate simbolo della rivolta.
Il ruolo della comunità internazionale
La comunità internazionale ha iniziato a prendere posizione. Muhammad Yunus, economista bengalese e premio Nobel per la pace, ha chiesto un intervento per fermare quella che ha definito una “strage“. Proteste di solidarietà con i manifestanti in Bangladesh sono state organizzate in diverse parti del mondo, tra cui Australia, Gran Bretagna, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Qatar e India.
Le cause profonde della rivolta
Il malcontento in Bangladesh va oltre il sistema delle quote. La disoccupazione giovanile, l’inflazione e la corruzione endemica hanno alimentato il risentimento, nonostante il paese abbia registrato una crescita economica significativa negli ultimi anni , i benefici non sono stati equamente distribuiti. La povertà è diminuita, ma la disoccupazione tra i giovani resta alta, con un quarto dei disoccupati di età compresa tra i 15 e i 29 anni.
Le accuse di brogli elettorali e le violazioni dei diritti umani hanno ulteriormente esacerbato la situazione. Gli oppositori politici sono stati perseguitati, i media censurati e gli attivisti per i diritti umani arrestati.
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