Un’ONG ha scoperto che solo 5 su 21 vestiti depositati nei box di riciclaggio delle grandi marche vengono realmente riutilizzati. Gli altri finiscono bruciati, abbandonati, ridotti in brandelli o spediti in Africa
Una gonna depositata in un box di riciclaggio presso H&M ha finito il suo viaggio in una discarica in Mali. Questa scoperta solleva domande sul reale destino dei vestiti che consegniamo nei punti di raccolta di noti marchi come C&A, Primark, Nike, Zara e Uniqlo. Questi marchi promettono che i capi non più utilizzati verranno redistribuiti come second hand o riciclati, ma la realtà è ben diversa.
Changing Markets Foundation ha deciso di investigare questa pratica, mettendo degli airtag in 21 capi d’abbigliamento in buono stato e depositandoli in box di 9 diversi marchi in quattro paesi europei: Belgio, Germania, Francia e Regno Unito. I risultati sono stati sorprendenti: solo 5 dei 21 vestiti sono stati effettivamente redistribuiti come second hand.
Capi bruciati o abbandonati
Il resto dei capi ha avuto destini meno nobili: alcuni sono stati bruciati, altri abbandonati in magazzini, ridotti in brandelli per diventare stracci o spediti in Africa. Ad esempio, un paio di pantaloni da jogging è stato utilizzato come combustibile in una cementeria in Germania.
Un altro caso eclatante è quello di una gonna che, come abbiamo detto prima, dopo aver viaggiato per 25.000 chilometri da Londra passando anche per gli Emirati Arabi Uniti, è finita a inquinare un terreno in Mali.
Questi risultati mettono in luce il greenwashing praticato da molte di queste aziende, con tre quarti degli abiti donati ai principali negozi di moda per essere riutilizzati o riciclati che vengono in realtà distrutti, abbandonati nei magazzini o inviati a un futuro incerto in Afric
Spesso, chi consegna i vestiti nei box di riciclaggio riceve buoni sconto per nuovi acquisti, incentivando così il consumo e alimentando ulteriormente il business delle stesse marche. È per questo motivo che è fondamentale denunciare queste pratiche, evidenziando l’inganno verso i consumatori che credono di fare una scelta ecologica.
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Fonte: Changing Markets
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