Ancora assolto Raffaele Meola dalla violenza sessuale ai danni di una hostess che cercò di sottrarsi dopo 20 secondi: per la Corte di Appello non sono sufficienti per provare il suo dissenso
La recente decisione della Corte di Appello di Milano di confermare l’assoluzione di Raffaele Meola, ex sindacalista accusato di violenza sessuale ai danni di una hostess, non può che far rimanere basiti sulla reale efficace della legge e sulla possibilità di avere giustizia per le vittime di aggressioni sessuali.
Il caso risale al marzo 2018, quando la hostess, durante una vertenza sindacale a Malpensa, avrebbe subito un presunto abuso sessuale da parte di Meola. Secondo quanto emerso nei processi di primo e secondo grado, la vittima avrebbe pronunciato un “no” solo venti secondi dopo l’inizio dell’aggressione, circostanza che ha influito sulla decisione della Corte di non ritenere sufficiente la prova del suo dissenso.
L’avvocata Maria Teresa Manente, rappresentante legale dell’associazione Differenza Donna che ha seguito il caso, ha criticato aspramente la sentenza, annunciando ricorso in Cassazione. Secondo Manente, la decisione della Corte rappresenta un passo indietro nella giurisprudenza sulla violenza sessuale.
Contraddice infatti i principi consolidati che definiscono il consenso come essenziale per qualsiasi atto sessuale. Ha inoltre sottolineato l’urgente necessità di riformare l’articolo 609 bis del codice penale italiano per allinearlo agli standard internazionali, come quelli stabiliti dalla Convenzione di Istanbul.
La legge italiana lascia troppo spazio a interpretazione
Elisa Ercoli, presidente di Differenza Donna, ha denunciato la legge italiana vigente come causa di gravi ingiustizie istituzionali contro le donne, sottolineando che tale contesto impedisce loro di ottenere giustizia dopo aver denunciato casi di stupro. Ha espresso un urgente appello per l’adozione di una nuova legislazione che assicuri parametri di giustizia più avanzati e rispettosi dei diritti delle vittime.
Il caso ha riacceso il dibattito sulla necessità di una cultura giuridica che non solo riconosca il consenso come principio fondamentale, ma che ponga anche l’onere della prova sul consenso sulle spalle degli imputati. Attualmente la normativa italiana lascia spazio a interpretazioni che favoriscono la vittimizzazione secondaria delle donne che denunciano casi di violenza sessuale.
L’appello per una riforma legislativa urgente e l’adozione di parametri più chiari e inequivocabili sul consenso sessuale appare quindi cruciale per garantire una maggiore protezione e giustizia per le vittime di violenza, ribadendo l’importanza di un sistema giuridico che sostenga pienamente i diritti delle donne vittime di violenza.
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