Il nostro Paese non garantisce un numero di posti nei servizi per l’infanzia adeguato allo standard europeo: oggi i posti al nido in Italia bastano solo per il 28% dei bambini. E nel periodo estivo il 93% delle strutture è chiusa. Una situazione che ancora grava sulle donne
Chiunque abbia o abbia avuto dei figli conosce l’annoso dilemma dell’asilo nido. Una volta deciso, in famiglia, che il pupo dovrebbe già cominciare a frequentare una scuola tutta per lui, nasce il problema dei problemi: gli asili nido comunali sono pieni come un uovo e talvolta le liste d’attesa durano fino alla maggiore età del figlio, quelli privati hanno prezzi proibitivi.
Niente, non ce la si fa: l’Italia non è un Paese per bimbi e le giovani coppie è sui nonni che devono ancora contare. È questa la fotografia di un sistema a pezzi fatta da Altroconsumo, che in una nuova inchiesta monitora lo stato dei sistemi di welfare per le famiglie in Italia, coinvolgendo gli asili nido comunali.
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Da qui due primi dati sconfortanti:
- i divari territoriali in termini di copertura di posti sono ampi: Centro-Italia, Nord-Est e Nord-Ovest, superiori al 31%, il Sud e le Isole registrano una copertura del 16%
- oggi i posti al nido bastano solo per il 28% dei bambini. E nel periodo estivo il 93% delle strutture è chiusa
L’inchiesta
Altroconsumo ha coinvolto gli asili nido comunali, 285 privati in otto città:
- Milano
- Roma
- Torino
- Firenze
- Bologna
- Genova
- Napoli
- Palermo
e mille intervistati della community di ACmakers.
Rispetto all’inchiesta sulle tariffe dei nidi privati di due anni fa per le città considerate le tariffe orarie sono aumentate in media dell’8,8%.
Nelle città di:
- Roma
- Milano
- Genova
l’aumento è stato più elevato, sopra l’11%. Mentre Torino e Bologna stabili.
Negli asili comunali è difficile trovare un posto, e le rette sono molto salate, considerando il rapporto con i redditi medi. La retta media mensile per una famiglia con un Isee di 30 mila euro si aggira sui 500 euro a Milano e Torino, poco meno a Firenze.
Nei nidi privati gli orari sono maggiormente flessibili, ma la retta media sale: 640 euro, tranne a Milano che raggiunge gli 800 euro mensili.
E negli altri Paesi europei?
Il nostro Paese non garantisce un numero di posti nei servizi per l’infanzia adeguato allo standard europeo, fissato dal Consiglio Europeo di Barcellona del 2002 (un posto per almeno il 33% dei bambini entro il 2010). Nel frattempo, l’Europa si è, però, data nuovi obiettivi: il 45% di bambini frequentanti servizi educativi di qualità entro il 2030.
L’Italia, con una copertura del 28%, è in netto ritardo se si considera la media Ue del 37,9%.
I Paesi più virtuosi sono:
- Olanda con una copertura del 74%
- Danimarca con il 69,1%
- Francia e Spagna con una copertura di oltre il 50%
Inoltre, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) l’Italia si è impegnata a realizzare 150 mila nuovi posti nei nidi, 100mila in meno rispetto ai 250 mila che erano stati ipotizzati anche per ridurre il divario territoriale aumentando i posti al Sud.
Altroconsumo si è rivolto alla community di ACmakers coinvolgendo mille intervistati, dai quali è emersa la necessità di ripensare i sistemi di welfare per le famiglie tenendo conto delle reali esigenze dei genitori italiani. Viste le politiche che allungano sempre di più la permanenza a lavoro, mamme e papà richiedono di investire per aumentare le strutture e i posti disponibili, norme che diano maggiore flessibilità lavorativa, come congedi e permessi, e un contributo diretto da parte dello Stato nel pagamento della retta, almeno in parte, per tutti.
Oltre che la possibilità di essere supportati anche nel periodo estivo: dall’indagine condotta emerge che a luglio solo il 2% dei nido chiude del tutto, il 12% per qualche settimana, l’86% rimane aperto. La situazione è, infine, completamente differente nel mese di agosto, durante il quale il 93% degli asili nido è chiuso.
E indovinate un po’ su chi ricade la carenza di servizi per l’infanzia? Sulle donne, ovvio, le prime persone ad essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità: oggi il 63% delle neomamme è costretto a compiere questa scelta.
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