Nadia Nadim: una storia di resilienza, dalla guerra in Afghanistan al successo nel calcio e nella chirurgia

Di lei si parla adesso perché è appena approdata alla squadra di calcio femminile del Milan. In realtà, di Nadia Nadim c’è una storia immensa da raccontare. Afghana, padre ucciso dai talebani, ha imparato a giocare a calcio in un campo profughi. E poi nulla l’ha più fermata

Non solo calciatrice: Nadia Nadim alterna la tuta al camice perché “quando smetterò con il calcio sarò un chirurgo”, sfoggiando le sue 8 lingue parlate alla perfezione e un curriculum lungo così fatto di coraggio e di resistenza. Nata e cresciuta a Herat, in quella città dell’Afghanistan a due passi dall’Iran e piegata in due dal terrorismo, Nadia Nadim – ora naturalizzata danese – è stata appena tesserata al Milan femminile nel ruolo di attaccante, ma parlare di lei è parlare di un riscatto che dà senso alla fuga da un Paese martoriato da una guerra civile infinita.

Al pari di Yusra Mardini, la storia di Nadia Nadim è quella di chi desidera a tutti i costi sfuggire alla guerra e al dolore immenso di vedere i propri cari morire, ricreare una vita, darsi una seconda opportunità. O forse la prima che ancora attendevi.

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Nel 2000, dopo che il padre Rabani, un generale dell’esercito afgano, viene sequestrato e assassinato nel deserto dai talebani, Nadia Nadim, sua madre e le sue quattro sorelle abbandonano non senza fatica l’Afghanistan e, dopo aver attraversato prima il Pakistan con un passaporto falso e poi l’Italia, giungono involontariamente in Danimarca (nascosta sopra a un camion in mezzo ad altra gente disperata, credeva di essere approdata a Londra), nazione in cui si stabilisce e dove, una volta diventata maggiorenne, prende la cittadinanza e conquista il diritto di fare sport.

Nel campo profughi dove trova accoglienza vede i bambini giocare a pallone e se ne innamora. Prova a dare due calci e da allora non ha più smesso:

Non avrei mai immaginato che diventare una calciatrice professionista potesse essere un’opzione per il mio futuro, sapevo solo che mi rendeva felice e mi faceva sentire libera, racconta.

L’unica cosa a cui pensavo era rimanere in vita, sopravvivere fino al giorno successivo.

Così, cresciuta in un Paese in cui alle donne non è permesso uscire di casa senza un parente maschio, Nadia Nadim ha combattuto le avversità e la discriminazione più becera per perseguire i suoi sogni. La sua esperienza di perdere la libertà sotto i talebani e di vivere in povertà in quel campo profughi in Danimarca ha alimentato il suo intenso desiderio di avere successo.

Con il calcio lei va oltre, qualcuno si accorge di lei e arriva al Hjørring, al Portland Thorns, al Manchester City, al Psg, al Racing Louisville e ora al Milan. Una carriera sfavillante, che però non la costringe a mettere da parte un altro suo grande sogno: laurearsi in medicina con la netta intenzione di diventare chirurgo una volta che toglierà le vesti di calciatrice.

Volevo diventare un medico perché sentivo che aiutare le persone per me era importante. Studiare medicina tra l’altro mi ha anche aiutato molto nella mia carriera calcistica e mi ha dato le conoscenze per capire i miei infortuni. Poi se penso che un giorno sarò pienamente impegnata con questo lavoro e addirittura potrei salvare delle vite.

Lo sport e poi i libri, la conoscenza, lo studio, la determinazione. Il sudore. Fuggire dall’Afghanistan le è costato sofferenza perché sofferente e dolorosa e impossibile era la vita lì, in un Paese che non accenna a rialzarsi. Il messaggio che vuole mandare ogni giorno è che nessuna donna debba sentirsi inferiore:

Ci metti lo stesso impegno e fai gli stessi sacrifici degli altri? Allora devi ottenere gli stessi riconoscimenti.

Un piglio deciso che le è valsa una carriera di successo e l’inserimento nel 2018 da Forbes nella lista delle personalità più influenti del mondo. Nadia Nadim è diventata anche Campionessa UNESCO per l’istruzione delle ragazze e delle donne nel 2019 dopo aver deciso di mettere il suo cuore e la sua notorietà al servizio delle ragazze e delle donne di tutto il mondo. E con lei l’UNESCO ha avviato programmi per far rispettare il diritto delle ragazze e delle donne a partecipare all’educazione fisica, all’attività fisica e allo sport a tutti i livelli.

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