Cibo, acqua e articoli sanitari scarseggiano disperatamente in tutta Gaza, dove circa l'80% dei suoi 2,4 milioni di abitanti sono stati sfollati a causa del conflitto tra Israele e Hamas. Le strade di Rafah, adiacenti al confine egiziano, sono latrine a cielo aperto. Qui, le donne perdono ogni intimità. E le mestruazioni
C’è chi fa finta di non sapere che una guerra è mortificazione costante per il genere umano. Di qualunque conflitto si tratti, che sia religioso o politico, quella viscida e animalesca bramosìa di terre strappa la vita a chi non c’entra nulla. Ai bambini, innanzitutto, e a quella parte di universo che per secoli e in ogni luogo è passato come “sesso debole”.
Ma dove sarà la debolezza se loro, le donne, devono tenere le fila di tutto questo. Se, nell’orrore di una guerra, devono subire anche la perdita di un figlio, le violenze sessuali, la perdita della casa. Devono rimettere insieme i cocci e i pezzi perduti, occhi che non piangono e corpo che non è più il loro.
Già, perché esattamente come accadeva nel secolo scorso nei lager nazisti, le donne e le ragazze hanno perso anche quello e le donne e le ragazze che hanno il ciclo mestruale a Gaza affrontano condizioni umilianti e infezioni, costrette a usare pannolini o ritagli di stoffa.
Dopo più di due mesi di guerra la situazione è esattamente questa. Accumuli di condizioni scoraggianti che calpestano qualsiasi diritto umano. In un fetore di marcio nauseabondo.
Le mestruazioni a Gaza
Senza acqua e nemmeno privacy (secondo ActionAid alcuni rifugi hanno solo una doccia ogni 700 persone e un bagno ogni 150), è praticamente improbabile per le donne e per le ragazze lavarsi o pulire la propria biancheria intima.
Secondo quanto dice Oxfam, coloro che hanno accesso ai farmaci li assumono per prevenire il ciclo mestruale e accantonare, almeno, il problema delle mestruazioni. Nel frattempo, invece, le donne che portano dispositivi contraccettivi intrauterini (IUD) subiscono sanguinamenti e infezioni a causa delle condizioni scarsamente igieniche derivanti dalla mancanza di acqua.
Taglio i vestiti dei miei figli o qualsiasi pezzo di stoffa che trovo, e li uso come assorbenti per il ciclo mestruale, racconta Hala Ataya, 25 anni, nella città meridionale di Rafah, dove molti sono fuggiti. E faccio a malapena la doccia ogni due settimane.
Costretta a lasciare la sua casa nel campo profughi di Jabalia, nel nord di Gaza, è venuta con i suoi tre figli in una scuola gestita dalle Nazioni Unite, condividendo il bagno e la doccia con centinaia di altre persone.
Ed è questa la condizione di tutte: impossibilitate a procurarsi prodotti sanitari, non riescono a lavarsi via il sangue, usano quello che capita, anche vecchi stracci che causano “sfregamenti e infezioni alla pelle”.
Le richieste di pillole contraccettive sono quadruplicate poiché le donne cercano di controllare il ciclo mestruale, dice Marie-Aure Perreaut Revial, di Medici Senza Frontiere (MSF). Non c’è assolutamente nulla: niente privacy, niente sapone per mantenersi puliti, niente prodotti mestruali.
E poi c’è il parto, l’esperienza più surreale dentro a una guerra
Ci sono 50mila donne incinte a Gaza. Nei prossimi 30 giorni sono previste circa 5.500 nascite, ovvero circa 180 parti al giorno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità riferisce che solo un ospedale nel nord di Gaza, su 22, rimane operativo e ammette pazienti. Sette delle 11 strutture mediche del sud sono attualmente funzionanti. Tuttavia, l’OMS rileva che solo uno può trattare casi di traumi critici o eseguire interventi chirurgici complessi. Le restanti strutture sanitarie sono sopraffatte dai pazienti e lavorano senza elettricità, acqua, beni di prima necessità e farmaci come antidolorifici o anestetici.
La maggior donne sarà costretta partorire in rifugi, nelle loro case o per strada tra le macerie senza l’aiuto di un medico o di un’ostetrica e corrono il rischio di soffrire di complicazioni mediche e infezioni che potrebbero mettere a repentaglio la loro vita e quella dei loro bambini.
E non solo: le madri che allattano hanno difficoltà a produrre latte perché non hanno abbastanza acqua e cibo. Molti neonati sono così stressati dai rumori degli attacchi aerei che non riescono ad attaccarsi. Anche l’uso del latte artificiale è problematico quando non c’è abbastanza acqua o quando l’unica acqua disponibile è contaminata.
Si accartoccia su sé stessa, dunque, la verità. La guerra rade al suolo la dignità delle donne, dei bambini, poi ancora delle donne e poi dei bambini appena nati, in un cerchio di fuoco e fiamme alte che, se si potesse, sarebbe meglio andare tutti all’inferno. Sai mai che lì le mestruazioni siano un gioco d’azzardo uguale alla roulette russa, dove soltanto la malcapitata muore in un bagno di sangue. Ah, ma un attimo. L’inferno è esattamente questo. Qui a Gaza.
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