I rider sono collaboratori coordinati continuativi e perciò hanno diritto ai contributi: il Tribunale di Milano apre una breccia in uno dei settori lavorativi con meno tutele in assoluto
Il Tribunale di Milano ha emesso una sentenza storica che può rivoluzionare uno dei lavori più sottopagati, sfruttati e mal tutelati del mondo moderno: quello dei rider, chi si occupa di consegnare il cibo nelle nostre case. Un settore che ha subìto un vero e proprio boom con la pandemia e che ancora oggi fatica ad avere legislazioni chiare.
Ebbene, ora questa sentenza ha obbligato le società di food delivery Deliveroo e Uber Eats Italy (che ha poi lasciato il mercato italiano) a versare i contributi INPS per migliaia di rider. La decisione è il risultato di due cause separate intentate da Deliveroo Italy e Uber Eats Italy contro l’INPS, che stabiliscono che entrambe le aziende devono adempiere agli obblighi contributivi per il periodo preso in considerazione.
Le due società erano già state coinvolte nel 2021 in un’indagine pilota della Procura di Milano sulle condizioni di lavoro e di sicurezza di circa 60.000 rider. La decisione del Tribunale riguarda il periodo 2016-2020 per Deliveroo e il periodo 2020-2021 per Uber Eats Italy.
I rider sono collaboratori coordinati continuativi in base all’articolo 2 del Jobs Act
La questione centrale nei procedimenti era rappresentata dai verbali amministrativi, notificati dall’Ispettorato del lavoro e contestati dalle società, che indicavano la necessità di regolarizzare le posizioni dei rider da lavoratori autonomi a “coordinati continuativi”, con tutte le garanzie previste per i dipendenti.
Il giudice Nicola Di Leo ha seguito la posizione della Procura e dell’Ispettorato del lavoro, stabilendo che i rider hanno effettivamente lavorato come collaboratori coordinati continuativi in base all’articolo 2 del Jobs Act.
Il togato ha dichiarato che per i rider che hanno lavorato per Deliveroo nel periodo da gennaio 2016 a ottobre 2020, deve essere applicata la disciplina del lavoro subordinato. Ciò implica un’obbligazione per i contributi, gli interessi e le sanzioni nei confronti dell’INPS e i premi nei confronti dell’INAIL, sulla base dell’orario effettivamente svolto dai collaboratori.
La replica di Uber
La sentenza per Uber riguarda un periodo più limitato, da gennaio 2020 a ottobre 2020. Per il momento è arrivata una replica solamente da parte di Uber che, attraverso un comunicato, ha commentato così la sentenza:
Non condividiamo la decisione e siamo pronti a fare appello nelle sedi competenti. La maggior parte dei fatti presi in considerazione nelle indagini non sono applicabili a Uber Eats e descrivono modelli operativi della concorrenza molto diversi dalle nostre passate operazioni di delivery.
Ora spetterà all’INPS calcolare l’esatta quota di contributi dovuti da entrambe le società, ma si stima che il conto potrà essere salatissimo. Finalmente dunque i rider che ogni giorno, con qualsiasi condizione atmosferica e talvolta con mezzi poco adatti ad affrontare percorsi spesso proibitivi e rischiosi, potranno vedersi riconosciuti mesi di duro lavoro nonché, soprattutto, i propri diritti in quanto lavoratori.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Fonte: ANSA
Ti potrebbe interessare anche: