La paura per i clown è legata al loro aspetto così umano, eppure caratterizzato da dettagli che ci sembrano strani e che per questo ci inquietano
Halloween è ormai alle porte, e nell’occasione di questa festa così spaventosa tornano a vedersi streghe, zombie, vampiri e altri mostri pronti a mettere paura e a turbare i nostri sogni – almeno fino a che non si inizia a parlare del Natale.
Ma perché, fra i mostri che terrorizzano i bambini (e anche un po’ gli adulti), ci sono i pagliacci? Joker e IT sono gli esempi più noti, a cui la letteratura e la cinematografia hanno dato ampio spazio trasformando l’amichevole pagliaccio in un mostro assassino e mangia-bambini.
Il pagliaccio nasce come personaggio allegro e divertente per strappare un sorriso a grandi e piccini sotto al tendone del circo, alle fiere o al lunapark, o per portare conforto e gioia ai piccoli ricoverati nelle corsie degli ospedali.
Eppure per molte persone il clown rappresenta un trauma dell’infanzia non del tutto superato, un essere che faceva paura quando si era piccoli e che continua a provocare disagio ora che si è diventati grandi.
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Perché i clown ci fanno così paura?
Diversamente da figure create con l’obiettivo di spaventare e creare angoscia, come gli zombie o i vampiri, i pagliacci non hanno come scopo primario quello di mettere paura.
Nascono, al contrario, come figure divertenti e spensierate, che attirano l’attenzione con i loro abiti dai colori sgargianti, con il loro nasone rosso e il trucco usato per esasperare i tratti del volto – in particolare il sorriso.
Sono goffi, impacciati, talvolta combinano guai e spesso sono vittime di scherzi che ci spingono a provare empatia e compassione per la loro condizione “sfortunata”.
Insomma, sia nell’abbigliamento che nel comportamento, i pagliacci non hanno nulla di spaventoso: perché allora li troviamo così inquietanti?
La risposta la si può trovare in un saggio scritto di Sigmund Freud dal titolo “Il Perturbante” (1919). In esso lo psicoanalista accende i riflettori sul fenomeno della paura e su quei piccoli dettagli che possono scatenare una grande angoscia nel nostro animo, inquietandoci profondamente.
Secondo Freud, la nostra mente è “progettata” per accettare in modo sereno tutto ciò che è simile a noi: in pratica, più qualcosa è umano, più ci piace interagire con esso. Ecco perché da piccoli amiamo giocare con bambole e bambolotti, o se collezioniamo action figures dei nostri supereroi preferiti.
A questo però c’è un’importante eccezione. Se l’essere con cui ci stiamo interfacciando (vivo o fantoccio che sia) presenta un dettaglio che si discosta molto dalla nostra idea di “essere umano”, finiamo con l’essere profondamente turbati dalla sua visione.
Facciamo qualche esempio. Una persona normale con un occhio di vetro inquieta, perché c’è qualcosa nel suo sguardo che non è umano, ma artificiale; questo vale anche per chi ha una protesi estetica a una mano, simile a una mano vera ma realizzata in plastica.
Allo stesso modo, una persona che cammina in modo strano, trascinando una gamba, oppure che soffre di un particolare tic, è inquietante perché i suoi movimenti non sono fluidi e naturali come ci si aspetterebbe da un essere umano normale.
Insomma, gli umani che manifestano qualche caratteristica che si allontana dall’idea rassicurante che abbiamo nella nostra testa vengono definiti da Freud come perturbanti e spaventosi.
Questo è il motivo per cui il pagliaccio spaventa: è un essere umano ma la sua espressione facciale, dovuta al trucco esagerato, è alterata finta; inoltre, i suoi movimenti sono bizzarri e innaturali, e anche questo concorre a rendere questa figura spaventosa.
Su questa base psicoanalitica si innesta poi la caratterizzazione dei pagliacci come mostri che troviamo nella letteratura o nei film: il sorriso innaturale arricchito con denti aguzzi e macchiati di sangue, i movimenti troppo veloci o troppo lenti per un essere umano, i raptus, i colori dei vestiti sbiaditi e alterati, gli occhi privi di pupille e così via.
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