Rinnovabili: questa comunità aborigena sta collaborando al più ambizioso progetto per costruire parchi eolici e solari sulle terre ancestrali

Gli Yindjibarndi sono un popolo aborigeno australiano della regione Pilbara, in Australia occidentale. Costituiscono la maggioranza degli aborigeni intorno a Roebourne (l'area di Millstream). Le loro terre tradizionali si trovano intorno al fiume Fortescue e per anni hanno lottato per ottenere un risarcimento dalle miniere di minerale di ferro

Il popolo Yindjibarndi metterà presto a disposizione un terreno di proprietà nativa esclusiva per costruire 3 GW di energia rinnovabile per le miniere di Pilbara.

È quanto emerge da un accordo definito storico che la Yindjibarndi Energy Corporation (Yec) ha stretto con il colosso filippino Acen Corp per creare uno dei più grandi progetti rinnovabili della nazione con un’enorme capacità di 3 Gigawatt e che coinvolgerà attivamente le comunità indigene, riconoscendole non più come entità da marginalizzare o da sfruttare ma come una preziosa risorsa data la loro profonda conoscenza del territorio.

L’accordo con ACEN significa che il popolo Yindjibarndi può partecipare attivamente alla transizione energetica rinnovabile dell’Australia in un modo significativo che fornisce benefici economici a lungo termine alla nostra comunità, garantendo allo stesso tempo la possibilità di proteggere e preservare tutte le aree all’interno di Yindjibarndi Ngurra che sono di significato culturale, spirituale e ambientale per noi. La partnership creerà inoltre opportunità di formazione e occupazione sostenibili e a lungo termine nel Paese per la nostra gente.

Secondo quanto si legge, insomma, la Yindjibarndi Aboriginal Corp avrà una quota di partecipazione dal 25% al ​​50% in tutti i progetti e dovrà approvare qualsiasi costruzione da realizzarsi nell’area di sua competenza. Inoltre, le aziende della popolazione Yindjibarndi riceveranno dei vantaggi nei contratti di appalto e i membri della comunità riceveranno formazione e nuove opportunità di lavoro.

In più, Acen e il popolo aborigeno costruiranno 750 MW di impianti in sistemi combinati rinnovabili, con un investimento da 1 miliardo di dollari australiani, mentre nelle fasi successive avranno come obiettivo altri 2-3 GW di energia verde.

Il titolo nativo

Sapevate cos’è il “titolo nativo”? Il Native title è la designazione del diritto comune del titolo aborigeno in Australia, che è il riconoscimento da parte della legge australiana che gli australiani indigeni (sia aborigeni australiani che isolani dello Stretto di Torres) abbiano diritti e interessi sulla loro terra che derivano dalle loro leggi tradizionali e costumi. Il concetto riconosce che in alcuni casi c’era ed esiste un continuo interesse legale vantaggioso per le terre possedute dai popoli indigeni che sopravvissero all’acquisizione del titolo radicale sulla terra da parte della Corona al momento della sovranità. Il titolo nativo può coesistere con diritti di proprietà non aborigeni e in alcuni casi diversi gruppi aborigeni possono esercitare il proprio titolo nativo sulla stessa terra.

Il caso fondamentale per il titolo nativo in Australia è stato Mabo vs Queensland: un anno dopo il riconoscimento del concetto giuridico di titolo nativo a Mabo, il governo Keating ne formalizzò il riconoscimento per via legislativa con l’emanazione da parte del Parlamento australiano del Native Title Act 1993.

La Corte Federale dell’Australia organizza la mediazione in relazione alle rivendicazioni avanzate dalle popolazioni aborigene e delle isole dello Stretto di Torres, esamina le richieste ed effettua determinazioni di titoli nativi. Il National Native Title Tribunal (NNTT) è un organismo che applica il “test di registrazione” a tutte le nuove richieste di richiedenti titoli nativi e intraprende future funzioni di mediazione e arbitrale sugli atti.

La battaglia legale

Fu il magnate minerario Andrew Forrest, capo della Fortescue Metals Group (FMG, quarto produttore di minerale di ferro al mondo), che estrae minerale presso il centro minerario di ferro di Solomon, sulla terra tradizionale dello Yindjibarndi, a intraprendere una battaglia durata 14 anni per affermare i diritti della società sull’uso della terra. Nel 2017, la Corte Federale dell’Australia ha riconosciuto che gli Yindjibarndi avevano diritti di proprietà nativi esclusivi su circa 2.700 chilometri quadrati e la corte ha riaffermato la sua decisione nel 2020 quando FMG ha presentato ricorso per l’annullamento della determinazione.

Nel 2022 la Yindjibarndi Aboriginal Corporation ha chiesto alla Corte federale di pronunciarsi sul risarcimento, dopo aver tentato di negoziare. Dal 2023 YAC continua la sua battaglia in tribunale per il risarcimento, chiedendo royalties non pagate per oltre 500 milioni di dollari australiani e danni che potrebbero ammontare a più centinaia di milioni, per “la perdita di luoghi sacri e di connessione spirituale con la terra“. Il governo dell’Australia occidentale potrebbe anche essere responsabile di aver consentito l’estrazione mineraria senza il permesso della popolazione Yindjibarndi.

Nei mesi scorsi, il presidente australiano Anthony Albanese ha avviato una campagna affinché la Costituzione del Paese tuteli i loro interessi istituendo per loro un organo di rappresentanza permanente in Parlamento. Tutto rimandato a un referendum, che dovrebbe svolgersi entro la fine di quest’anno.

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Fonte: ACEN

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