Influenza aviaria: gli uccelli sono le vittime, non l’origine. Urge intervenire sugli allevamenti intensivi

L’influenza aviaria è una "bomba a orologeria": così, un nuovo studio sottolinea come - senza riforme radicali del settore zootecnico - sarà assai complicato mettere un freno alla sua diffusione e a ridurre il rischio di una pandemia umana globale

L’influenza aviaria, o anche “peste aviaria”, sta peggiorando sempre di più. I focolai durano più a lungo e non sono più puramente stagionali e non solo: si diffondono rapidamente, uccidendo uccelli selvatici e di allevamento. Dalla sua comparsa nel 2021, l’ultimo ceppo del virus di influenza aviaria ha causato la morte di oltre mezzo miliardo di uccelli allevati in tutto il mondo. Molti di loro erano confinati negli allevamenti intensivi, dove venivano allevati in modo terribile per la loro carne o le uova.

A lanciare l’allarme è il nuovo report dal titolo Bird flu: Only major farm reforms can end it (Influenza aviaria: solo grandi riforme agricole possono porvi fine) – appena pubblicato da Compassion in World Farming (CIWF) e che sottolinea come gli uccelli selvatici siano le vittime e non l’origine della malattia, sfuggita a qualsiasi controllo a causa proprio dell’aumento degli allevamenti intensivi.

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Una posizione, questa, condivisa dalla task force scientifica internazionale sull’influenza aviaria, istituita all’inizio del 2022 per fornire ai governi guida e raccomandazioni.

Il rapporto

Nel report, CIWF si rivolge ai governi perché mettano in atto un piano d’azione in tre punti:

  • attuare una vaccinazione di massa dei volatili per rallentare la diffusione
  • ristrutturare radicalmente l’industria avicola, adottando sistemi che prevedano un minor numero di animali e una minore densità di allevamento, scegliendo razze più robuste ed evitando la concentrazione di allevamenti nella medesima area, per ridurre il rischio che sorgano e si diffondano ceppi altamente patogeni
  • cambiare il sistema di allevamento dei suini, dal momento che i suini allevati intensivamente possono agire come “ospiti intermedi” per creare nuovi virus che colpiscono suini, uccelli ed esseri umani

Anche se il numero riportato di uccelli selvatici uccisi dall’influenza aviaria si aggira intorno alle decine di migliaia, si crede che la cifra reale sia molto più alta: si tratterebbe di milioni di esemplari. Fino a pochi anni fa, l’influenza aviaria che circolava fra i volatili selvatici causava loro pochi danni. Il virus, tuttavia, una volta entrato nei capannoni degli allevamenti avicoli intensivi – spesso portato da scarpe, abbigliamento o strumentazione contaminati degli operatori – può evolvere nella pericolosa influenza aviaria altamente patogena (HPAI).

Gli allevamenti intensivi creano le condizioni ideali per la diffusione della malattia – fornendo al virus un costante ricambio di ospiti e permettendo alle infezioni di diffondersi velocemente – e per la comparsa di nuovi ceppi altamente nocivi.

Dal 2021, oltre mezzo miliardo di volatili allevati a scopo alimentare sono morti o sono stati abbattuti a livello globale a causa dell’influenza aviaria. La maggior parte di essi erano polli broiler allevati per la loro carne, ammassati nei capannoni sovraffollati degli allevamenti intensivi, o galline allevate per la produzione di uova, rinchiuse in gabbie della dimensione di un foglio di carta A4.

L’influenza aviaria è come una bomba a orologeria. Se non apriamo gli occhi e agiamo prontamente per mettere fine all’allevamento intensivo, non avremo alcuna possibilità di fermare la rapida diffusione di questo virus nel mondo o di ridurre il rischio che si sviluppi una grave pandemia umana, dice Peter Stevenson, autore del report e Chief Policy Adviser di Compassion in World Farming.

Ammassare gli animali negli allevamenti intensivi non è solo del tutto aberrante, ma significa anche creare il terreno ideale perché l’influenza aviaria e altri virus si diffondano e mutino in ceppi più pericolosi. Per questo la nostra campagna END.IT ha come obiettivo mettere fine all’allevamento intensivo e trasformare il nostro sistema alimentare globale per garantire un futuro sano per gli animali, le persone e il pianeta.

Inoltre, i volatili non sono gli unici animali colpiti dall’influenza aviaria. La patologia si è già diffusa fra i mammiferi, infettando fra le varie specie anche lontre, volpi, delfini, leoni marini, visoni, cani e gatti domestici. Ha sviluppato l’abilità di diffondersi da un visone all’altro – cosa che in precedenza non era in grado di fare fra i mammiferi. Ciò rende questo virus ancora più pericoloso. Se sviluppasse la stessa capacità di diffondersi fra gli esseri umani diventerebbe un vero e proprio rischio pandemico.

Dal 2003 sono state infettate almeno 875 persone in tutto il mondo. Esistono dei precedenti: l’epidemia di influenza suina del 2009 e la pandemia di influenza spagnola del 1918, causata da un virus influenzale con geni di origine aviaria, hanno dimostrato con forza ciò di cui sono capaci le zoonosi.

Più occasioni ha il virus di infettare un essere umano e mutare, più alta è la probabilità che emerga un ceppo pericoloso in grado di scatenare la prossima pandemia, conclude Devi Sridhar, responsabile della cattedra di salute pubblica globale presso l’Università di Edimburgo.

Questa posizione è sostenuta da una dichiarazione congiunta firmata dalla FAO, dalla WOAH e dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e pubblicata lo scorso luglio, secondo cui: “I virus dell’influenza aviaria normalmente si diffondono fra i volatili, ma il crescente numero di infezioni di influenza aviaria H5N1 registrate fra i mammiferi – biologicamente più vicini agli esseri umani – fa temere che il virus possa adattarsi per infettare più facilmente le persone”.

QUI trovi l’executive summary del report in italiano.

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Fonte: CIWF

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