Quali elementi giocano un ruolo nella coesistenza orso-essere umani e quali sono le condizioni da soddisfare? Le risposte in nuovo studio condotto dall'ETH di Zurigo sul modello delle pratiche di conservazione dell'orso bruno marsicano nel Parco Nazionale d'Abruzzo Lazio e Molise
Gli ultimi avvenimenti in Trentino hanno fatto discutere molto sulla convivenza tra essere umani e animali selvatici e nello specifico tra persone e orsi. Si è parlato molto del numero di esemplari che il territorio potrebbe ospitare, dei plantigradi confidenti, ma poco di misure efficaci per una coesistenza a lungo termine.
Se il Trentino sembra avere un problema con gli orsi che la stessa Provincia autonoma di Trento ha accettato di reintrodurre sul territorio con il progetto Life Ursus, in altre regioni italiane il clima appare decisamente meno teso. È il caso dell’Abruzzo, in cui si sviluppa gran parte del Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise.
Qui vive l’orso bruno marsicano, Ursus arctos marsicanus, una sottospecie dell’orso bruno delle Alpi che si differenzia geneticamente da questo. Le iniziative volte a tutelare questa specie unica dell’Italia centrale sono di vario tipo. Lo ha dimostrato, nuovamente, anche uno studio scientifico condotto dalla dottoranda Paula Mayer dell’ETH di Zurigo.
La sua ricerca, apparsa di recente sulla rivista Journal for Nature Conservation, presenta un modello per la coesistenza orso-uomo che si focalizza su 21 Comuni siti dentro e fuori i confini dell’area protetta. Sulla base di una rete bayesiana, lo studio mostra come le condizioni volte a garantire una pacifica coesistenza siano variabili su scala locale e spazialmente eterogenee.
Queste dipendono da “fattori ecologici, fattori sociali che influenzano il livello di tolleranza nella comunità, come le emozioni e la conoscenza delle persone, fattori economici, come i mezzi di sussistenza e politiche come il risarcimento dei danni” osserva la ricercatrice e autrice principale.
L’area di studio è stata suddivisa in 3 comunità: A, B, C. Nella prima comunità, la A, nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise, l’accettazione degli orsi è elevata sebbene negli ultimi anni gli orsi abbiano occasionalmente danneggiato qualche proprietà. Le persone riconoscono l’importanza della presenza dei plantigradi, sono informate a riguardo e favorevoli alla coesistenza.
Nella comunità B, a meno di 20 km dalla comunità A, vi sono stati pochi conflitti tra allevatori e orsi. I primi hanno adottato però misure preventive quali recinzioni elettrificate. Nella comunità C, la zona più settentrionale, la presenza dell’orso è limitata. Non vi è prevenzione perché i danni sono pressoché assenti. Gli abitanti sono divisi, c’è chi ha timore e chi no.
Lo studio sottolinea come il turismo faunistico sia una risorsa preziosa non solo per il territorio quanto per la tutela degli orsi. Le amministrazioni comunali investono maggiormente in sicurezza e gli orsi ne traggono beneficio dovendo affrontare meno minacce. Da tenere conto, però, sono anche le opinioni dei singoli cittadini. Molti attendono ancora adirati gli indennizzi promessi. Ciò potrebbe naturalmente influenzare la loro percezione dell’orso.
Il nostro caso di studio dimostra come un processo di modellazione partecipativa che tenga conto delle percezioni della popolazione locale, delle valutazioni degli esperti e dei dati spaziali, risultando in mappe di coesistenza aggiornate, possa essere uno strumento prezioso per la pratica della conservazione aiutando a indirizzare in modo efficiente le misure per migliorare la coesistenza uomo-grande carnivoro in diversi contesti in modo sito-specifico.” osservano i ricercatori.
Quindi valutazione degli esperti, misure preventive, percezioni e coinvolgimento della comunità sono gli elementi che possono agevolare la coesistenza e la conservazione degli orsi.
Questo progetto è un tentativo di dare uno sguardo razionale al paesaggio e capire dove e in quali circostanze gli esseri umani e i grandi carnivori coesistono con successo e dove no” ha commentato Paula Mayer.
La ricercatrice conclude il suo lavoro ribadendo, però , che il problema dei grandi carnivori è da ritenersi globale. Si tratterebbe tuttavia di “questioni interpersonali e di controllo; gli animali selvatici hanno solo una funzione simbolica”.
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Fonte: Journal for Nature Conservation
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