L'EUDR, EU Deforestation Regulation, nasce per contrastare il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità e comporterà una grande sfida per le aziende che saranno obbligate a garantire che i loro prodotti provengono da terreni esenti da deforestazione. Ma di quali prodotti si tratta e che conseguenze ci saranno sui consumatori?
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Recentemente l’Ue ha approvato in via definitiva il Regolamento Europeo Anti-Deforestazione, un ottimo passo avanti per evitare la perdita di biodiversità e contrastare i cambiamenti climatici.
Ricordiamo che ancora oggi il problema della deforestazione è particolarmente sentito in alcune zone del mondo, dove vengono bruciati ed eliminati alberi con l’obiettivo di dare spazio a coltivazioni intensive e allevamenti.
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L’EU Deforestation Regulation (EUDR), però, rappresenta anche una vera e propria sfida per le aziende (comprese quelle italiane) che dovranno soddisfare nuovi requisiti se vogliono continuare a produrre e vendere i loro prodotti sul territorio europeo.
Queste infatti dovranno garantire non solo che le materie prime e i prodotti provengano da terreni su cui non è stata praticata deforestazione o esenti da degrado forestale ma dovranno anche assicurare che non sono stati violati i diritti umani delle popolazioni indigene e delle comunità locali dopo il 31 dicembre 2020.
Inevitabilmente, nei prossimi 2 anni avverranno cambiamenti sostanziali da parte di chi produce e chi esporta/importa, si prospetta la nascita di nuovi modelli e accordi commerciali tra i vari Paesi e non mancherà certamente chi cercherà di eludere il problema dato che, adeguarsi al cambiamento, prevede un grosso svantaggio: l’aumento dei costi.
Ma partiamo dall’inizio, scoprendo quali sono i prodotti che maggiormente risentiranno del nuovo regolamento sulla deforestazione.
I prodotti che più risentiranno del Regolamento Europeo Anti-Deforestazione
Tra i prodotti interessati dalla nuova normativa vi sono:
- carne bovina
- soia
- legno
- olio di palma (e derivati utilizzati nel comparto energetico)
- cacao
- caffè
- gomma
- carbone
- cuoio
- cioccolato
- mobili
- carta stampata
Questi prodotti corrispondono ovviamente ai più problematici in quanto a deforestazione anche legata al nostro Paese. Come scrive Etifor, spin off dell’Università di Padova, che ha analizzato lo scenario che si prospetta in seguito alla nuova normativa:
Le importazioni di olio di palma sono state la causa principale della deforestazione incorporata italiana, con un’area pari quasi all’estensione del comune di Roma: circa 125mila ettari di foresta convertiti a coltivazioni di palma. L’87% dell’area deforestata a causa delle importazioni italiane di olio di palma viene registrato in Indonesia, che rappresenta il principale esportatore verso il nostro Paese. Venire incontro al fabbisogno nostrano di soia ha fatto sparire, soprattutto in Brasile, oltre 111 mila ettari. Siamo anche il principale paese europeo per quanto riguarda la deforestazione dovuta alle importazioni di carne bovina con 67mila ettari convertiti a pascolo, il 90% dei quali è in Brasile. Per quanto riguarda il caffè, l’Italia è responsabile della scomparsa di 21mila ettari tra Honduras e Costa d’Avorio. Questo dato ci colloca al terzo posto in UE dopo Germania e Francia. L’area deforestata a causa delle importazioni italiane di cacao e gomma equivale all’estensione di Genova: 16mila ettari dal cacao, l’8% l’UE, di cui quasi la metà in Costa d’Avorio e 8mila dalla gomma, 9% di tutta l’UE, di cui quasi la metà in Indonesia.
Da questi dati si capisce bene quanto un cambiamento in questo senso sia necessario e di conseguenza il nuovo regolamento possa essere utile ad invertire una rotta che sta distruggendo il nostro Pianeta, mettendo a rischio la nostra stessa sopravvivenza.
In merito a come si modificheranno i flussi commerciali, gli scenari variano da prodotto a prodotto:
- Soia: l’Ucraina è un grande produttore di soia ma dall’inizio del conflitto molti hanno iniziato ad acquistarla dal Sud America (in particolare Argentina e Brasile). Storicamente l’aumento del prezzo e della domanda di soia in Sud America è collegato a una maggiore pressione sulla deforestazione. Nel breve periodo – scrive Etifor – è ipotizzabile un aumento dell’approvvigionamento anche da Stati Uniti e Canada, ma solo in alcuni mesi a causa delle differenze stagionali
- Caffè: i produttori sono numerosi, così come variano le caratteristiche del caffè nei vari Paesi. In questo caso probabilmente ci sarà un maggiore sforzo nella mappatura dei fornitori
- Cacao: alcune aziende dispongono già di una buona tracciabilità dei fornitori e si prospetta un’ulteriore estensione degli sforzi attuali
- Carne bovina: la deforestazione mette sotto pressione le importazioni di carne e pelle dall’Argentina, dal Brasile e dal Paraguay. Meno problematiche quelle dall’Australia, Stati Uniti e Paraguay dove però i prezzi sono meno competitivi
- Olio di palma: in Ue la domanda di questo prodotto è calata dato che la Direttiva sulle Energie Rinnovabili richiede la graduale eliminazione di carburanti a base di olio di palma entro il 2030. È aumentata però la richiesta di olio di palma grezzo (CPO) come fonte alternativa di oli vegetali ad uso alimentare. Su questo prodotto vi sono diverse sfide legate alla tracciabilità, all’esclusione dei piccoli agricoltori (l’obbligo di tracciabilità rischia di tagliarli fuori), alle perdite e alla data limite/deforestation-free cut off date.
Infine ricorda Etifor, ad un anno dalla pubblicazione del regolamento, ovvero ad aprile 2024, è previso un riesame che dovrà valutare la fattibilità anche di cambiare la normativa in merito ad altri prodotti come mais, carne di suini, pollame, ovini e caprini.
Le difficoltà per le aziende
Come dicevamo, la sfida per le aziende in questo caso è molto grossa, il compito più difficile rimane la tracciabilità delle materie prime fin dall’origine della filiera e l’applicazione dell’obbligo di geolocalizzazione, soprattutto nei casi in cui i piccoli agricoltori rappresentano una quota significativa dei produttori.
La difficoltà per i Paesi produttori sarà differente a seconda dei casi, raggiungere gli obiettivi è indubbiamente più complicato, scrive Etifor:
per quelli meno sviluppati e per quelli identificati come standard o ad alto rischio secondo il sistema di benchmarking (comparazione) europeo, ovvero una classificazione dei paesi scientifica e trasparente che verrà condotta entro ottobre 2023 dalla Commissione. I prodotti provenienti da paesi a basso rischio saranno soggetti a minori obblighi di dovuta diligenza e tracciabilità.
La Commissione europea stima che i costi medi una tantum per un’azienda che si dovrà adeguare al nuovo Regolamento possano oscillare tra i 5.000 e i 90.000 euro. Ci saranno poi anche dei costi periodici che dipenderanno dalla complessità della catena di approvvigionamento e dalla qualità delle soluzioni di adeguamento trovate.
Come sottolinea Etifor:
In un contesto globale di conflitti, siccità diffusa e differenti standard di rispetto per i diritti umani e di attenzione alla qualità, con l’applicazione del regolamento, molti flussi commerciali muteranno repentinamente e drasticamente, con ragionevoli oscillazioni di prezzo, come nel caso della soia e dell’olio di palma, mentre altri solo marginalmente, come nel caso del caffè, del cacao e della carne bovina.
Le conseguenze sui consumatori
L’inevitabile aumento del costo delle materie prime, dovuto ai maggiori controlli e al lavoro aggiuntivo che deriva dall’applicazione della nuova normativa, non potrà che avere ricadute anche sulla quotidianità dei cittadini europei.
Ad analizzare lo scenario è Elena Massarenti, Supply Chain Specialist di Etifor che evidenzia diverse criticità in seguito a delle indagini d’opinione condotte in vari Paesi dove i consumatori hanno indicato quanto per loro la sostenibilità sia importante e quanto sono disposti a pagare di più per prodotti realizzati con pratiche più sostenibili.
Come ha dichiarato la dottoressa Massarenti:
Il divario tra l’intenzione dei consumatori di sostenere la sostenibilità e l’effettivo comportamento di acquisto può essere attribuito a diversi fattori. In primo luogo, i consumatori possono essere limitati dalle opzioni disponibili sul mercato. Nonostante l’aumento dell’interesse per la sostenibilità, potrebbe essere difficile trovare una vasta gamma di prodotti sostenibili in tutti i settori. In secondo luogo, il prezzo rimane un fattore importante nella scelta dei prodotti. Sebbene molti consumatori dichiarino di essere disposti a pagare di più per la sostenibilità, nella pratica potrebbero essere meno inclini a farlo quando si trovano di fronte a un prodotto con un prezzo più elevato rispetto a un’alternativa non sostenibile. Ciò può essere particolarmente vero nelle fasce di reddito più basse, dove il budget limitato potrebbe essere un fattore determinante nelle decisioni di acquisto.
In sostanza, le quote di mercato dei prodotti con etichette di sostenibilità generalmente rimangono basse e il nuovo Regolamento potrebbe non essere sufficiente se i prezzi, come si prevede, si alzeranno.
L’esperta spiega che:
È necessaria un’azione collettiva da parte di tutti gli attori coinvolti, inclusi produttori, rivenditori, organizzazioni di consumatori e governi, per promuovere la sostenibilità e rendere i prodotti sostenibili più accessibili e convenienti per i consumatori. Ciò può includere incentivi fiscali, campagne di sensibilizzazione e investimenti nella ricerca e sviluppo di alternative sostenibili.
Altro punto fondamentale su cui si dovrà lavorare è la creazione di etichette relative alla sostenibilità che siano chiare, complete, affidabili e facilmente leggibili dai consumatori.
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Fonte: Etifor
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