La Val di Susa risorge dai devastanti incendi del 2017 mettendo in atto un Programma di prevenzione dei roghi all'avanguardia frutto della collaborazione tra istituzioni, cooperative e università riuscendo anche ad abbattere i costi grazie alla valorizzazione del legno recuperato
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Per proteggere le foreste bisogna anche tagliare gli alberi. Per prevenire gli incendi bisogna anche bruciare il bosco. Frasi che potrebbero apparire paradossali, ma che rappresentano, invece, punti cardine di strategie all’avanguardia nella gestione del patrimonio forestale e nella prevenzione degli incendi. Perché gestire correttamente un bosco significa preservarlo non solo dalla deforestazione, ma anche da eventi catastrofici come possono diventare i roghi quando incontrano le condizioni atmosferiche e naturali che li trasformano in veri e propri inferni. Ed è proprio da uno di questi inferni senza precedenti che si è accesa la miccia per dar vita a uno dei più virtuosi progetti di rinascita e prevenzione boschiva in Italia.
Perché se è vero che prevenire è meglio che curare, lo è in particolar modo quando si tratta di incendi boschivi visto che, come è stato stimato, le operazioni di prevenzione costano almeno 9 volte meno di quelle necessarie per spegnerli . E in Val di Susa sono praticamente a costo zero, grazie alle sinergie che si riusciti a creare dopo i devastanti incendi del 2017. Un’esperienza partecipata che oggi è diventata un modello replicabile ed esportabile grazie al lavoro di sistematizzazione effettuato da tutti gli attori coinvolti e in particolar modo dall’Università di Torino.
Dalla catastrofe a uno dei progetti più innovativi di prevenzione degli incendi
Nell’ottobre di 6 anni fa a Monpantero e nella Bassa Val di Susa le fiamme cancellarono letteralmente intere superfici di bosco, mandando in fumo ettari di pineta e provocando danni incalcolabili all’ecosistema locale, reso estremamente fragile anche dal punto di vista idrogeologico. I fumi densi oscurarono il cielo per giorni e arrivarono persino a Torino, rendendo tangibile, per la prima volta anche nelle città, l’importanza di gestire e prevenire questo tipo di catastrofi. Ancora oggi è perfettamente visibile la cicatrice lasciata da quei roghi senza precedenti, ma nel paesaggio deturpato e ingrigito dalle fiamme, è altrettanto possibile scorgere la determinazione con cui si sta cercando di non rivivere più quell’incubo.
Come moderne fenici, le comunità montane della Val di Susa stanno ripartendo proprio da lì. Grazie ai finanziamenti ottenuti, ma soprattutto alla stretta collaborazione tra istituzioni, cooperative, amministrazioni, università e privati, si è dato vita a uno dei progetti più virtuosi non solo dal punto di vista di prevenzione degli incendi estremi, ma anche di valorizzazione produttiva del legno, a cominciare proprio da quello recuperato dai roghi e altrimenti destinato a diventare unicamente biomassa da ardere. Il risultato è un ciclo virtuoso che permette di abbattere completamente i costi delle operazioni di prevenzione e creare anche lavoro.
Come prevenire gli incendi boschivi a costo zero: il progetto PRe-FEu
Si tratta del progetto PReFeu avviato nel 2020 e finanziato dal Programma di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Piemonte che noi abbiamo avuto il piacere di farci raccontare direttamente dagli attori interessati durante un tour organizzato da PEFC Italia, l’ente che certifica la gestione sostenibile delle foreste.
L’obiettivo del progetto – frutto della collaborazione tra il Consorzio Forestale Alta Val Susa, le Unioni Comuni in Val Susa, La Foresta, l’Università di Torino (Dip. DISAFA), il Sistema Anticendi Boschivi della Regione Piemonte, le ditte forestali, le segherie locali e le associazioni di proprietari – è duplice: da un lato aumentare l’efficacia e la sicurezza delle attività antincendio attraverso la creazione di infrastrutture verdi preventive, dall’altro raggiungere un’economia di scala che garantisca la sostenibilità economica delle infrastrutture stesse. In altre parole, mettere in sicurezza il bosco ripagando le operazioni necessarie per farlo con la valorizzazione del legno ricavato proprio da esse.
Tutto nasce, come detto, subito dopo gli incendi di Mompantero che hanno minato profondamente le certezze di un territorio e rimesso in discussione la visione generale degli enti gestori, chiamati a interrogarsi inevitabilmente su come agire per cercare di ripristinare il bosco e, soprattutto, su quale fosse il miglior modo per evitare che un evento così estremo riaccadesse di nuovo. Ma anche come riuscire ad abbattere i costi delle operazioni necessarie a farlo, rendendo sostenibile anche economicamente e socialmente un’operazione simile.
L’idea alla base che ha risposto esattamente a queste esigenze è semplice ma efficace: attraverso una selvicoltura preventiva che passa anche dall’abbattimento programmato degli alberi e in alcuni casi dal fuoco stesso – il cosiddetto fuoco prescritto – si riduce la densità della foresta e si minimizzano le possibilità di incendi su larga scala. E con il legno tagliato da questi interventi, invece di destinarlo a sola biomassa per energia, ricavare direttamente mobili, parquet e assi da costruzione attraverso la creazione di una filiera in loco che ne aumenti, così, esponenzialmente il valore, tanto da ripagare gli interventi stessi. A partire proprio dal legno recuperato dagli incendi.
Come ripulire il bosco dal materiale bruciato
A dare il via al duplice progetto, gli stessi alberi bruciati negli incendi e recuperati dalla Cooperativa Foresta attraverso una gigantesca opera di rimozione e recupero dei tronchi arsi tutt’ora in atto. Il legname colpito dalle fiamme è stato utilizzato nella filiera locale per ottenere prodotti di pregio e solo il 40% di esso per produrre energia, promuovendo in tal modo l’economia locale: queste attività di prevenzione e riutilizzo del legname bruciato hanno creato posti di lavoro, favorendo una crescita sostenibile. Fondamentale però è agire tempestivamente, almeno entro l’anno dai roghi. Circostanza questa non affatto scontata essendo in vigore in Italia la legge che rende le aree colpite da incendi inutilizzabili per almeno 10 anni. Legname bruciato incluso. In Val di Susa grazie al progetto si è riusciti a derogare alla disposizione e intervenire relativamente in tempo. Rimuovere correttamente il legname compromesso dagli incendi permette anche di prevenire il dissesto idrogeologico e fare in modo di ripristinare lentamente la foresta attraverso operazioni di semina e rimboschimento.
Il materiale bruciato subito nell’immediato post incendio è un materiale che ha ancora valore. Questo è un punto fermo, quindi non deve essere considerato come materiale che può andare soltanto ad uso di bioenergia, cippato. Ma se ci sono le dimensioni delle piante può essere un materiale che ancora può diventare materiale da opera – ci spiega la D.ssa Roberta Berretti, Tecnico di Ricerca dell’Università di Torino – Quindi intervenire tempestivamente dopo un incendio è fondamentale perché è possibile recuperare materiale che ha ancora un valore di mercato. Successivamente, più passa il tempo, più diventa difficile: non solo il legno perde valore, ma accumula tensioni che rendono pericoloso per i boscaioli anche tagliarlo. Però nel post incendio hai tantissime possibilità e devi giocartele con la tempestività dell’intervento e questo è secondo me una chiave fondamentale per poter attirare fuori ancora quel legno buono che il bosco può darti anche da bosco bruciato. Perché come dice il mio collega, “un bosco bruciato non è più un bosco, è un diversamente bosco”.
Come far rivivere un bosco distrutto dagli incendi?
La Val di Susa sta facendo scuola non solo per la strategia di prevenzione, ma anche nel modo in cui sta cercando di rivitalizzare i boschi devastati dagli incendi attraverso una selvicoltura post incendio che favorisca le condizioni migliori per la rinascita, che non significa necessariamente piantare nuovi alberi, considerata questa, inaspettatamente l’ultima opzione:
Per far rivivere un bosco bruciato, noi dobbiamo operare per aiutare una dinamica naturale creando le condizioni affinché il bosco torni e si rigeneri da solo con una dinamica completamente naturale, applicando delle tecniche che creino le condizioni migliori per la germinazione e lo sviluppo del seme, come ad esempio lasciare in punti strategici piante morte in piedi che facciano ombreggiamento o tronchi posti trasversalmente per favorire l’accumulo di terra e quindi di accumulo di seme – ci spiega la D.ssa Berretti – Fondamentale diventa anche lasciare i tronchi tagliati alti per garantire la stabilità dei versanti e fare in modo che, appunto, la dinamica naturale sia favorita nel suo evolversi. Ecco, quando la dinamica naturale non riesce a farlo per molteplici motivi e in tempi che noi riteniamo indispensabili perché il bosco torni ad essere bosco, allora possiamo essere un pochino più incisivi, magari aiutando questa dinamica con la semina o l’impianto artificiale di alberi. Questo secondo me deve essere proprio l’ultima scelta. Abbiamo visto che il bosco riesce a ricostituirsi da solo grazie anche all’aiuto dell’uomo.
La rinascita di un bosco è un processo lento, quindi, ma con un impegno concreto e una gestione attenta, è possibile. Fondamentale ricordare però che la prevenzione degli incendi diventa qui, più che altrove un passo cruciale in questo processo che inizia proprio dalla corretta gestione della foresta.
Le foreste gestite in modo sostenibile bruciano 9 volte di meno
Boschi interamente composti di Pino Silvestre come quelle di Mompantero sono, di fatto, delle foreste facilmente aggredibili dagli incendi, soprattutto in un versante in cui la viabilità è problematica: quando scoppia un rogo questo trova le condizioni ideali per divampare e propagarsi pure in altezza, rendendo, in tal modo complesse anche le operazioni di soccorso. Diverso discorso accade nelle foreste gestite in modo sostenibile che attualmente costituiscono solo il 18% del patrimonio boschivo italiano e in cui il monitoraggio costante, gli interventi di prevenzione e la migliore accessibilità riducono in maniera determinante il rischio.
Secondo un’analisi del PEFC, infatti, i boschi gestiti e in particolare quelli certificati per la gestione forestale sostenibile, attiva e consapevole, hanno una probabilità di essere interessati da incendi in misura fino a 9 volte inferiore rispetto a quelli non certificati. Analizzando gli eventi del 2017, infatti, anno in cui gli incendi hanno colpito fortemente il Paese, della superficie a bosco non certificata l’1,24% è andato a fuoco, mentre della superficie certificata PEFC solo lo 0,24%.
Come, dove e quando intervenire per prevenire gli incendi?
Il progetto PReFeu è riuscito ad andare oltre le azioni previste dalla gestione sostenibile delle foreste dello standard PEFC, applicando un vero e proprio Piano Integrato di Prevenzione Incendi che copre l’intera area forestale dell’Alta Val Susa (26.300 ettari circa) e un’area pilota nella Bassa Val Susa (1.000 ettari circa), ma intervenendo concretamente “solo” su circa 890 ettari. Questo perché è stato stimato che anche superfici minime trattate secondo criteri di prevenzione, , ad esempio il 5%, riescono a mettere in sicurezza più del 50% del bosco.
Ma in quale 5% intervenire? Per decidere i punti strategici in cui attuare gli interventi di prevenzione ci si è avvalsi del contributo dell’università di Torino che ha creato dei veri e proprio modelli su dati informatici ispirati ad azioni simili già attuate in Australia o in Corsica, ma ancora mai lungo l’arco alpino. Il software, in pratica, ha restituito con precisione le aree strategiche dove operare. Ma operare come? Quali sono gli interventi da attuare?
- selvicoltura di prevenzione con il taglio programmato degli alberi e la creazione di viali mangiafuoco prima di tutto intorno alle abitazioni e poi nei punti nevralgici individuati dai modelli informatici. Rimuovere alberi malati, vecchi o secchi riduce la quantità di combustibile disponibile per un potenziale incendio, promuovendo nel contempo la crescita di alberi più giovani e sani, meno inclini alle fiamme. Inoltre creare spazi vuoti tra le aree boschive, noti come fasce parafuoco, può impedire la diffusione di un incendio, fungendo da barriera fisica alle fiamme.
- Provvedere alla pulizia del sottobosco, che spesso si riempie di materiale infiammabile come foglie secche, rami caduti e alberi morti. Questi materiali possono alimentare rapidamente un incendio, rendendo cruciale la loro rimozione periodica;
- Creare le condizioni ideali in termini di viabilità per chi dovrà spegnere eventuali incendi in modo che possa raggiungere agevolmente i punti nevralgici dell’incendio
- Migliorare la resistenza della foresta diversificando la composizione e la varietà degli alberi e introducendo, ad esempio, latifoglie nella foresta di conifere
- Creare infrastrutture verdi con i tronchi tagliati in grado di fungere da protezione sia per il suolo che per favorire la germinazione in aree particolarmente scoscese dove i semi utilizzati per riforestare potrebbero essere facilmente portati via dal vento o dall’acqua.
Prevenire gli incendi costa 8 volte meno che spegnerli (e passa anche dal tagliare gli alberi)
Ciò che è importante capire è che la prevenzione degli incendi boschivi è non solo un atto di responsabilità ambientale, ma anche un’importante strategia economica. Secondo i calcoli del PEFC, i costi associati alla prevenzione degli incendi boschivi sono in media 9 volte inferiori rispetto a quelli necessari per estinguerli. Questo dato non solo sottolinea l’importanza dell’adozione di misure preventive, ma rivela anche la pesante onerosità finanziaria che un incendio boschivo può comportare per la comunità e per le strutture di emergenza. Si pensi solo che l’intervento di un singolo canadair per spegnere un rogo è stimato in circa 100.000 euro.
Oltre al costo economico diretto, dobbiamo considerare anche i costi ambientali. Gli incendi liberano nell’atmosfera enormi quantità di CO2, contribuendo all’aumento dell’effetto serra e quindi ai cambiamenti climatici. Questi costi, non quantificabili immediatamente in termini monetari, si riversano sulla società sotto forma di problemi di salute, perdita di biodiversità e alterazione dei cicli climatici, che a loro volta hanno costi economici.
La prevenzione degli incendi non riguarda solo la riduzione dell’accumulo di materiale infiammabile nei boschi, ma include, soprattutto la gestione delle risorse forestali. E il taglio controllato degli alberi, come pure gli incendi controllati, il fuoco prescritto, diventano elementi chiave in questa strategia. Insomma, per difendere un bosco bisogna tagliarlo e per difenderlo dagli incendi bisogna bruciarlo. Anche se può sembrare paradossale e provocatorio, sono azioni necessarie incluse nella parola GESTIONE della foresta. In pratica, come ci spiega Antonio Brunori, Segretario Nazionale PEFC Italia, altro non è che imitare – e accelerare – quello che la natura farebbe nei secoli:
“La natura stessa fa cadere gli alberi per dare spazio ai più giovani e permettere loro di crescere. Come il disturbo ecologico permette al bosco di essere resiliente all’incendio, così il dottore forestale oggi non fa altro che replicare in 2,3, 4 anni, quello che la natura avrebbe fatto nel lunghissimo periodo, 100, 200, 300 anni – Questa è la logica di fondo che sta alla base degli interventi di selvicoltura preventiva, anche perché, fondamentale, non siamo più di fronte a foreste vergini: nei secoli abbiamo già, di fatto, artificializzato la maggior parte dei nostri boschi, allontanandoli dalla loro naturalità perché per secoli abbiamo tagliato e scelto le piante migliori. Quindi il selvicoltore, adesso che ha più sensibilità di quello che accadeva centinaia di anni fa, cerca di riportare un equilibrio nel bosco, lo stesso che la natura gli avrebbe dato nel giro di secoli.
L’esperienza della Val di Susa , divenuta una case history di successo sistematizzata e replicabile, dimostra a tutti che con l’impegno, l’innovazione e un po’ di pazienza, è possibile trasformare una tragedia in un’opportunità di crescita e rinascita. Ci ricorda, inoltre, l’importanza di agire in modo responsabile e proattivo nella gestione delle nostre foreste e che le azioni preventive possono avere un impatto significativo sulla riduzione del rischio di futuri incendi. Anche abbattendo alberi e luoghi comuni.
Perché attraverso la cooperazione, l’innovazione e un forte impegno per la protezione dell’ambiente, possiamo non solo ripristinare i boschi danneggiati, ma anche prevenire i futuri incendi e salvaguardare le nostre preziose risorse forestali per le generazioni future.
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