Anche Patagonia sfrutta i lavoratori? “Produce nelle stesse fabbriche del fast-fashion”: l’indagine FTM che lascia tutti a bocca aperta

E se vi dicessimo che brand d'abbigliamento come Patagonia e Primark non sono poi così distanti come avete sempre creduto? In Italia non ne ha parlato ancora nessuno, ma ciò che emerge da un'investigazione indipendente lascia davvero esterefatti.

Da una parte Patagonia, il brand che nell’immaginario collettivo è associato alla sostenibilità e all’elevata qualità; dall’altra Primark, colosso irlandese del fast-fashion. Le due aziende sembrerebbero piazzarsi su poli diametralmente opposti, per etica e metodi di produzione; eppure c’è qualcosa che li accomuna: molti dei loro capi d’abbigliamento vengono realizzati nella stessa indentica fabbrica, che si trova in Sri Lanka.

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A rivelare questo scioccante retroscena, che ha lasciato attoniti anche noi della redazione di greenMe, una dettagliata inchiesta realizzata da Follow the Money (FTM), rete di giornalismo investigativo indipendente. Dall’investigazione emerge un’assenza di controlli adeguati sulle terribili condizioni dei lavoratori pesantemente sfruttati per produrre indumenti. Un enorme paradosso per un marchio che ha fatto del rispetto dell’ambiente e delle persone la sua filosofia.

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Le inaccettabili condizioni di lavoro nelle fabbriche dello Sri Lanka

Nel capannone della fabbrica srilankese di Regal Image, diventato recentemente fornitore di Patagonia (per le stampe che finiscono sui vestiti), gli impiegati lavorano tutto il giorno, superando anche le 17 ore secondo quanto riportato nell’inchiesta.

Per scoprire come vengono trattate le persone che lavorano per il brand statunitense fondato dall’alpinista e imprenditore Yvon Chouinard i giornalisti di FTM si sono recati sul posto per intervistare il personale.

Finora, non abbiamo notato alcuna differenza tra lavorare con Patagonia e lavorare con Primark o Decathlon” ha fatto sapere Kevin Fernando, responsabile della fabbrica.

Secondo quanto riportato nell’inchiesta, per i lavoratori l’atmosfera è molto pesante anche dal punto di vista psicologico, dato che il rispetto da parte dei superiori in molti casi.

“Il manager del mio supervisore è un uomo terribile. Tocca tutti in malo modo, e se dici che non lo vuoi, hai un problema. Mi urla se devo andare in banca o dal dottore. “Allora chi farà il lavoro? Chi raggiungerà l’obiettivo?” E non è l’unico. Ci parlano come se fossimo animali.” ha raccontato Priya, che lavora per MAS Shadowline – divisione di MAS Atcive, ovvero uno dei fornitori di Patagonia – da quasi due anni.

A riferire dettagli sconcertanti anche Ashila Niroshine Dandeniya, anche lei dipendente di MAS Shadowline e alla guida di un sindacato:

A causa della crisi, sentiamo sempre più storie dei nostri lavoratori tessili che fanno uso di droghe. Anche nelle fabbriche MAS con cui lavora Patagonia. Lo usano per lavorare più velocemente. A volte anche contro la fame.

Il nodo dei controlli

Per scegliere i suoi fornitori Patagonia chiede che vengano rispettati determinati criteri legati all’etica e alla sostenibilità chiariti in un codice di condotta, che include il divieto di sfruttare minori e la tolleranza nei confronti di molestie fisiche, sessuali e verbali, oltre al rispetto delle leggi nazionali. Inoltre, i dirigenti non possono richiedere ai dipendenti di fare straordinari e non è ammesso il superamento delle 60 ore settimanali e il lavoro per più di sei giorni consecutivi.

Per garantire il rispetto di questi standard Patagonia organizza un controllo nella fabbrica almeno una volta all’anno da un ispettore indipendente; come riferito da Follow The Money, le ispezioni vengono effettuate anche dalle due Ong Fair Labor Association (FLA) e FairTrade.

Patagonia ha individuato sessantuno stabilimenti idonei: due negli Stati Uniti, uno in Portogallo e il resto in 12 diversi Paesi dove la manodopera viene pagata pco, in particolare Vietnam e Sri Lanka.

A partire dal 2016, la Fair Labor Association ha pubblicato le valutazioni di sette stabilimenti Patagonia, di cui tre in Vietnam, tre in Sri Lanka e uno in Cina. E ciò che era emerso non era affatto rassicurante: dozzine le violazioni rilevate.

Ad esempio, quasi 2000 dipendenti di una fabbrica in Vietnam sono stati pagati per gli straordinari meno di quanto avrebbero dovuto ricevere e l’età dei dipendenti non è stata registrata (quindi non si può escludere il lavoro minorile). – ricordano i giornalisti di FTM – Grazie a un altro controllo ha scoperto che i candidati dovevano fornire il periodo del loro ciclo mestruale. I dipendenti hanno raccontato che non potevano rimanere incinte nei primi sei mesi di lavoro.

Dai report è venuto fuori che gli operai tessili erano costretti a lavorare molto più a lungo di quanto stabilito dalla legge e dal codice di condotta di Patagonia: addirittura fino a 17 ore al giorno, per un totale di oltre 80 ore alla settimana.

I salari da fame in contraddizione con l’etica di Patagonia

Com’è trisitemente noto, i lavoratori nell’industria dell’abbigliamento sono tra i più sottopagati al mondo.

In migliaia di stabilimenti, gli operai continuano a lavorare in condizioni deplorevoli, per interminabili ore e sottopagati. – si legge sul sito di Patagonia – Chi trova lavoro nel settore dell’abbigliamento (per la maggior parte donne) è spesso indigente, giovane, privo di istruzione e vive in condizioni disagiate.

Non è purtroppo infrequente che i lavoratori vengano sfruttati, discriminati, molestati, minacciati e raggirati o che si neghi loro il diritto di riunirsi in sindacati. A ciò si aggiungono talvolta un certo lassismo nell’applicazione delle leggi sull’impiego di manodopera e condizioni di lavoro poco salubri e pericolose.

Peccato, che da quanto viene fuori dall’inchiesta, nelle fabbriche srilankesi, dove essere sfruttati è praticamente la normalità.

Per determinare un salario dignitoso, Patagonia utilizza l’Anker Research Instituteme. Secondo quel metodo metodo di calcolo, puoi vivere decentemente nello Sri Lanka urbano se guadagni un minimo di 83.231 rupie srilankesi (263 euro) al mese. – viene sottolineato nell’inchiesta di FTM – Lo stipendio di Priya non copre nemmeno la metà. E nella stamperia Regal Image, recentemente approvata, il salario base è ancora più basso: 21.000 rupie (66 euro), secondo quanto riferito da Fernando.

Da un’azienda come Patagonia, che tra l’altro vende capi a prezzi decisamente più elevati di marchi come Decathlon, ci saremmo aspettati tutti attenzione e rispetto nei confronti degli operai che lavorano nelle fabbriche da cui si riforniscono.

Come mostrano le testimonianze raccolte da FTM, invece che combattuto, il sistema di sfruttamento radicato in Paesi come lo Sri Lanka e il Vietnam, in questo modo, viene tollerato e sostenuto.

La replica di Patagonia

Per saperne di più su questa inquietante vicenda – sulla quale speriamo che venga fatta ulteriore chiarezza – la redazione di greenMe ha contattato l’ufficio stampa di Patagonia, che ci ha inviato la seguente replica:

I nostri auditor hanno condotto rigorose indagini sul posto nel corso degli ultimi mesi e non hanno trovato nessuna evidenza che possa confermare le dichiarazioni contenute nei recenti articoli apparsi sui media. Nello specifico, presso Regal Image e Shadowline* non è emersa nessuna evidenza e non sono stati riportati dai lavoratori casi di:

• uso di droghe per aumentare le produttività
• eccessivo ricorso agli straordinari (oltre le 60 ore)
• straordinari non pagati
• repressione antisindacale
• molestie verbali

Inoltre, nella nostra esperienza in Sri Lanka, non abbiamo mai avuto problemi che non potessero essere risolti direttamente con i nostri partner di produzione. Sette dei nostri partner in Sri Lanka sono certificati Fair Trade USA, il che significa che Patagonia paga un premio destinato direttamente ai lavoratori di queste fabbriche. Patagonia si assume proattivamente anche una responsabilità per i diritti, la salute e la sicurezza dei lavoratori che realizzano i prodotti del marchio nelle fabbriche, negli stabilimenti e nelle aziende agricole e ha istituito diversi programmi di monitoraggio accreditati e continui per garantire il loro benessere.

Monitoriamo regolarmente i nostri partner della filiera produttiva, direttamente e attraverso organizzazioni come Fair Trade, Better Work ILO e Fair Labor Association. Se riscontriamo problemi, collaboriamo con i nostri partner per implementare soluzioni efficaci e durature, come nel caso del nostro impegno per eliminare le tasse per i lavoratori migranti.

a sempre accogliamo con favore ogni tipo di valutazione e osservazione, in ogni aspetto della nostra attività, e siamo i primi critici di noi stessi quando si tratta di migliorare la nostra azienda e di contribuire a far progredire l’intero settore in cui operiamo. Lo facciamo perché sappiamo che ridimensionare il nostro impatto può portare ai migliori risultati possibili per i lavoratori di tutta l’industria dell’abbigliamento.

*Regal Image e Shadowline non sono partner per la produzione di prodotti finiti per Patagonia. Regal Image è stato esaminato ed è un partner approvato per gli articoli che richiedono un preciso procedimento di stampa, ma non ha ancora contribuito alla realizzazione di nessun prodotto Patagonia venduto (solo alla realizzazione di una quantità limitata di campioni). Shadowline è una divisione di MAS Active, partner di lunga data di Patagonia, per i prodotti che richiedono una stampa. MAS Active è certificata Fair Trade USA.

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Fonti: Follow the Money/Patagonia

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