La più grande impresa familare americana finisce nell'occhio della bufera. Il motivo? La multinazionale, che produce soia per il bestiame, è accusata di aver contribuito alla deforestazione del Brasile e alla violazione dei diritti delle popolazioni indigene
Cargill, il colosso mondiale dei cereali, è nei guai. La multinazionale americana, che produce mangimi destinati agli allevamenti intensivi, è accusata di essere complice della devastazione delle foreste brasiliane e di contribuire alle violazioni dei diritti dei popoli indigeni che vivono da sempre nei territori sfruttati per coltivare la soia. A trascinare in tribunale l’azienda ClientEarth, un’organizzazione internazionale che si occupa di diritto ambientale, che ha presentato un reclamo all’U.S. National Contact Point.
Per l’ente il colosso statunitense non ha fatto abbastanza per vigilare su quanto avviene nelle aree in cui viene prodotto la sua soia.
“In base alle Linee guida dell’OCSE, le aziende sono tenute a identificare, prevenire e mitigare gli impatti negativi effettivi e potenziali delle operazioni sull’ambiente e sui diritti umani. Il reclamo sostiene che le carenze nelle politiche di due diligence di Cargill e
le procedure violano questi standard” si legge nel documento redatto da ClientEarth.
Leggi anche: La deforestazione in Amazzonia dipende anche dall’Italia (e dal nostro consumo di soia), il report
Le accuse rivolte a Cargill
Il business di Cargill sta mettendo a rischio alcune delle aree più ricche di biodiversità del Pianeta: l‘Amazzonia, la foresta atlantica e il Cerrado, la più vasta savana del Sud America.
“Tutte e tre sono in grave pericolo a causa dell’espansione agricola, in particolare dell’allevamento di bestiame su larga scala e la produzione di soia, che è il motore principale della deforestazione e della conversione di altri ecosistemi in Brasile” evidenzia ClientEarth.
Nel reclamo dell’associazione vengono forniti dati inquietanti: nel 2020 Cargill è stata responsabile della deforestazione di 25.500 ettari di foreste; praticamente 35.000 campi da calcio.
Leggi anche: La terribile verità dietro la deforestazione in Brasile: incendi appiccati per far spazio agli allevamenti intensivi
Cargill acquista la soia sia direttamente dagli agricoltori che indirettamente da cooperative, trasformatori e commercianti
che non l’hanno coltivata. Secondo la nostra analisi delle politiche pubbliche e dei report aziendali, i passi che la multinazionale pretende di intraprendere per monitorare la sua catena di fornitura indiretta sono vaghi.
L’azienda infatti non si pone obiettivi concreti, trasparenti e misurabili legati alla tracciabilità.
“Questo è un grave difetto dato che Cargill si procura indirettamente il 42% della soia dal Brasile e non ci sono prove che suggeriscono che questa materia prima di provenienza indiretta abbia meno probabilità di contribuire alla deforestazione rispetto alla soia di provenienza diretta” prosegue l’associazione.
Infine, un’altra nota dolente è quella relativa al costante rischio di calpestare i diritti umani degli indigeni brasiliani ed afro-brasiliani e appartenenti ad altre comunità locali.
Queste violazioni dei diritti possono includere: spostamenti forzati, violenze contro chi difende le terre ancestrali, distruzione dell’ambiente in cui vivono le comunità e onseguenze sulla salute provocate dall’uso di pesticidi.
“Sono proprio queste comunità ad essersi dimostrate le più efficaci nel proteggere le foreste, contribuendo così a mitigare i cambiamenti climatici. Greenpeace e Global Witness riferiscono che, quando hanno presentato a Cargill le prove dei suoi legami con le
violazioni dei diritti umani, la società non ha fornito alcuna risposta significativa” conclude l’ente che si occupa di salvaguardia ambientale.
Seguici su Telegram | Instagram | Facebook | TikTok | Youtube
Fonte: ClientEarth
Leggi anche: