Utilizzare le sorgenti salmastre o l’acqua del mare per fronteggiare la crisi idrica. In Italia le acque marine o salmastre rappresentano lo 0,1 % delle fonti di approvvigionamento idrico, contro il 3% della Grecia e il 7% della Spagna. Ora il Governo apre ai dissalatori per l’acqua del mare, ma quali sono gli svantaggi?
Indice
Un inverno appena trascorso eccezionalmente caldo, livelli di neve bassi senza precedenti sulle Alpi e la previsione di una carenza di risorse idriche nella regione del Mediterraneo: un mix perfetto che fa presagire il peggio. Il motivo?
Dopo un 2022 con la peggiore siccità dell’ultimo mezzo secolo, nel 2023 ci ritroviamo ad affrontare un’altra crisi che si prospetta ancora più grave e che già minaccia l’agricoltura, le fabbriche e l’approvvigionamento domestico.
Come ci diceva Luca Mercalli, l’ultima speranza è che ci siano abbondanti piogge nella primavera che sta per arrivare. Leggi qui: Mancanza di neve, Mercalli a greenMe: “Sapevamo da 30 anni che sarebbe successo, ora temo una siccità davvero complessa”
Questi sono gli scenari in cui ci troveremo a celebrare il 22 marzo la Giornata Mondiale dell’Acqua anno 2023, il cui tema sarà “Accelerare il cambiamento per risolvere la crisi idrica e igienico-sanitaria”. In quel giorno, si terrà anche la prima Conferenza sull’Acqua delle Nazioni Unite.
Il caso Italia
Un report dell’Osservatorio ANBI sulle Risorse Idriche pubblicato lo scorso mese di febbraio indicava che una percentuale compresa tra il 6% ed il 15% della popolazione italiana vive in territori esposti a una siccità ormai severa o estrema, dipingendo un Paese in grave difficoltà idrica.
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Nel nostro Paese, inoltre, grava una terribile dispersione idrica: qui vengono infatti prelevati oltre 33 miliardi di metri cubi di acqua all’anno, ma il 22% di questa va dispersa a causa di una rete idrica inefficiente. Annualmente, in Italia si consumano oltre 26 miliardi di metri cubi di acqua: il 55% circa della domanda proviene dal settore agricolo, il 27% da quello industriale e il 18% da quello civile.
All’indomani della notizia della creazione in Puglia del più grande dissalatore d’Italia per combattere l’emergenza idrica, Palazzo Chigi annuncia di aver dato vita a una cabina di regia tra tutti i ministeri interessati “per definire un piano idrico straordinario nazionale d’intesa con le Regioni e gli Enti territoriali per individuare le priorità di intervento e la loro adeguata programmazione, anche utilizzando nuove tecnologie“.
Obiettivi sarebbero il potenziamento dell’attuale rete idrica e l’introduzione di nuovi dissalatori. Investire in depuratori e dissalatori rientra, quindi, nell’agenda del Governo. Ma di che si tratta?
Cos’è la dissalazione e dove sono gli impianti in Italia e nel mondo
Si tratta di una tecnica che non prevede nient’altro che la rimozione della frazione salina dalle acque di mare o da acque di falda “salmastre”. Le principali tecnologie usate sono:
- osmosi inversa: che rimuove il sale dall’acqua attraverso il principio dell’osmosi sviluppato lungo una serie di membrane semipermeabili che catturano gli elementi. Questa per ora è una delle tecnologie meno energivore perché non utilizza sorgenti di calore
- elettrodialisi: gli impianti sfruttano in questo caso le membrane ionizzate che rimuovono il sale dall’acqua trattata
- nanofiltrazione: tecnologia sempre a membrana che viene generalmente impiegata nel trattamento di acque a basso contenuto salino
- dissalazione termica: gli impianti ricorrono al calore per far evaporare e condensare l’acqua di mare per renderla utilizzabile
Gli impianti esistenti ad oggi in Italia sono di piccole o medie dimensioni e, oltre a quello nuovo in Puglia, sono si trovano soprattutto nelle isole minori, come Lampedusa o Ventotene.
Ad oggi si contano nel mondo circa 16mila impianti in 177 Paesi. In Europa, la Spagna si trova al primo posto nella desalinizzazione (9,2% del fabbisogno), usa una parte significativa di questa acqua per i servizi richiesti dall’industria del turismo.
Ma siamo proprio sicuri?
Secondo uno studio del 2018 commissionato dall’ONU, la capacità di produzione di acqua più o meno dolce degli impianti di desalinizzazione è pari a circa 95 milioni di metri cubi al giorno. E secondo la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, sono 628mila i litri d’acqua l’anno per ogni singola persona sulla Terra necessari per produrre cibo (circa 70%), per ogni tipo di produzione industriale o manufatturiera (circa 20%), per tutte le attività domestiche e cittadine (circa 10%).
Potrebbero quindi globalemente essere utili i dissalatori, ma quanto sono sicuri? Lo stesso studio commissionato dall’Onu evidenzia come per ogni litro di acqua desalinizzata si registri un residuo di 1,5 litri di salamoia, a concentrazione variabile, in funzione della salinità dell’acqua di partenza. Ciò vuol dire che, a livello globale, a fronte dei 95 milioni di metri cubi di acqua dolce, gli impianti di desalinazione producono anche 142 milioni di metri cubi di salamoia ipersalina al giorno. E, nell’arco di un anno, la salamoia prodotta sarebbe sufficiente a coprire mezza Italia sotto 30 centimetri di melma caustica
Troppo? Secondo uno studio di istituti universitari di Canada, Olanda e Korea, la salamoia mondiale è prodotta in soli quattro Paesi: Arabia Saudita (22%), Emirati Arabi Uniti (20,2%), Kwait (6,6%) e Qatar (5,8%).
Gli impianti del Medio Oriente che utilizzano le tecnologie di dissalazione termica/evaporativa producono in media da due a quattro volte più salamoia per metro cubo di acqua pulita rispetto agli impianti che ricorrono al metodo della distillazione a membrana per la desalinizzazione di acqua di fiume (che si trovano per lo più negli Stati Uniti). Dai dati, insomma, gli studiosi arrivano alla conclusione che la melma ipersalina ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri vari, andrebbe considerata esattamente come le altre scorie industriali pericolose e come tale avrebbe bisogno di processi di smaltimento adeguati.
Cosa comporta? Che il corretto smaltimento per ora è assai costoso e può arrivare fino al 33% dei costi operativi di un impianto. Per questo motivo, la maggior parte della salamoia finisce direttamente negli oceani, nelle acque superficiali, negli impianti di smaltimento delle acque reflue attraverso le fognature o, più raramente, in pozzi profondi.
È proprio tutto da scartare?
Non esattamente. Quello stesso studio guarda anche ad alcune opportunità economiche della salamoia, che potrebbe essere usata per irrigare specie tolleranti al sale, così come dalla melma si potrebbero recuperare sali, metalli e altri elementi come magnesio, gesso, cloruro di sodio, di calcio, di potassio, di bromo, di litio. Ma per fare ciò servirebbero impianti e infrastrutture che siamo ben lontani dall’avere…
Fonti: Ministro di Protezione civile e Mare / ONU
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