L’università miete l’ennesima vittima: quel fardello di pressioni e aspettative troppo grande per i nostri giovani

Ventisettenne si suicida il giorno prima di una laurea che non ci sarebbe stata. È l’ennesimo caso di un giovane che non ha retto a quel peso troppo grande di ammettere di non riuscire a dare un esame

Ma come, dopo il liceo non ti laurei? Non vali nulla. Non prendi 30 e lode ad ogni esame? Allora cosa sa vai fare all’università? Non hai passato un esame? Sei un fallimento. E così, per non sentirti sotto esame – quello della vita, degli amici, dei parenti e magari anche di mamma e papà che ti aiutano a pagarlo quel corso di laurea – fingi di averlo passato a pieni voti.

A volte fingi persino di esserti presentato, perché dopo il primo “torni alla prossima sessione”, il panico e l’ansia di non farcela ti attanagliano ogni volta che anche solo pensi alla prossima sessione. Uno dopo l’altro gli esami si accumulano e alla fatidica domanda “ma quando ti laurei?” non sai più cosa rispondere.

Alla fine inventi una data, ma poi prima o poi quella data arriva e, mentre tutti non vedono l’ora di vederti con la pergamena in mano, tu non sai più cosa fare. C’è chi esplode e confessa tutto, pronto a ricominciare una vita senza quel pezzo di carta. E c’è chi non ce la fa e piuttosto che dare una “delusione”, decide di farla finita.

Quel suicidio il giorno prima di una laurea che non ci sarebbe mai stata

L’ultimo caso in ordine di tempo è una ragazza di 27 anni di Somma Vesuviana. Aveva annunciato di laurearsi martedì scorso, ma lunedì è sparita nel nulla. Doveva andare a ritirare la tesi all’Università di Napoli, ma quella tesi non c’era e non c’era nemmeno il suo nome tra gli iscritti alla sessione di laurea.

A Napoli probabilmente non ci è nemmeno mai arrivata, perché l’hanno trovata in un dirupo, accanto ad una ringhiera nei pressi di un ex ristorante di Somma Vesuviana. Si è scoperto solo dopo che per arrivare a quella laurea in lettere moderne le mancava ancora un esame, quello di latino. Un solo esame che, per un motivo che forse mai sapremo, non riusciva a dare.

Come detto non è la prima e purtroppo non sarà l’ultima. La lista è lunga e colma di storie di giovani che diventano tristemente note sui giornali e sui social. Ragazzi e ragazze sopraffatti da un mondo che richiede sempre perfezione e che li schiaccia, li umilia.

Il discorso di Emma Ruzzon in memoria di chi non ha retto

È passata una manciata di giorni da quel discorso che ha risuonato forte nell’aula magna dell’Università di Padova, incentrato proprio su questo tema. Pronunciato in memoria di chi queste pressioni non le ha rette e ha deciso di disfarsene, una volta per tutte. Per sempre.

Lo ha fatto Emma Ruzzon, presidentessa del Consiglio degli studenti e membro dell’associazione Studenti per Edu, ma avrebbe potuto farlo chiunque ci è passato in quella pressione:

Non si può morire di università: troppi studenti sono stati vittime della pressione e della narrazione tossica di un’università in cui è esaltata la retorica di un’eccellenza irraggiungibile, di uno standard surreale.

Nelle parole di Emma ci sono le parole di un’intera generazione, sempre più bistrattata e sempre meno capita. “Se non si è migliori non si avrà una vita decente”, aveva detto. Aveva parlato di ragazzi e ragazze “soli e angosciati”, stretti nella morsa di un futuro incerto e di un presente fatto di genitori che nella speranza di stimolarli ad avere un futuro migliore del loro – che magari hanno dovuto rinunciare troppo presto agli studi per finire a fare un lavoro usurante e non appagante – non si rendono conto del fardello di aspettative di cui caricano i figli.

Non siamo un voto e nemmeno una laurea

Una generazione che viene tacciata come “quella dei social e degli smartphone”, ma che in realtà ha attraversato guerre, attentati e soprattutto Lui, il Covid. Costretta, magari anche fuori sede, a vivere l’università senza viverla, dietro uno schermo e senza coetanei accanto. Costretta in casa h24 a tentare di studiare ma con mille pensieri che si affollano nella testa. Costretta a non poter uscire a prendere una boccata d’aria per staccare da quei libri, con pagine che sembrano infinite.

A tutti loro andrebbe spiegato che non si è un voto, non si è una media universitaria e non si è nemmeno una laurea. Si è umani, non si è supereroi e si può sbagliare. Sbagliare indirizzo, sbagliare metodo di studio oppure semplicemente ci si può rendere conto che il futuro dopo le scuole superiori è semplicemente quello lavorativo.

A tutti loro andrebbe spiegata l’importanza di chiedere aiuto e di non portarsi da soli questo peso enorme che ti schiaccia ogni giorno sempre più. Si vale comunque con o senza laurea, con un 18 o con un 30 e lode. Solo così, prima o poi, su quel lungo elenco di nomi potrà finalmente scrivere la parola “fine”.

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