Sono mamma di due figli autistici di livello 1 che chiamano “speciali”, ma sono prima di tutto bambini

“Lo chiamo coraggio perché me lo dicono gli altri, ma per me questa è normalità”. Caccia eccome le unghie Marie Hélène Benedetti, madre di due figli ex Asperger (autistici di livello 1 secondo il DSM 5) che tutti si ostinano a definire “speciali”. “Speciali non sono, sono prima di tutto bambini”

Di autismo, e anche di quello che un tempo veniva diagnosticato come Asperger, ne sentiamo spesso parlare e, spesso, senza cognizione di causa. Quello che si fa è quasi sempre un giro immenso, per poi finire col racchiudere tutto in poche banalissime parole: “malati” o “bambini speciali”.

Definire speciale è, però, solo il becero tentativo di dare una giustificazione alla nostra coscienza. O forse lo è per davvero: il tentativo odierno e quasi maniacale di dare un motivo alle etichette che affibbiamo e a tutto quello che si portano dietro. Scrollarci di dosso il problema, insomma.

Ma se fossimo più sciolti? Se ci limitassimo semplicemente a dare un nome alle cose? Eccolo il punto: prendere consapevolezza e lasciare vivere. Contare fino 10 e conoscere ciò di cui si parla. Tutto qui. Lo sa bene Marie Hélène Benedetti che nel 2020 ha fondato l’associazione Asperger Abruzzo.

Tutto è cominciato con le terapie di mio figlio, quando mi sono detta “come fanno le altre mamme a non lottare, a non lanciarsi letteralmente sotto a una Regione, ad imporsi? Lo farò io visto che ho tutto questo coraggio”.
Ma attenzione, lo chiamo coraggio perché me lo dicono gli altri, ma per me questa è normalità.

Mi sono fatta io allora promotrice della difesa dei diritti delle famiglie e nel 2020 ho fondato a Vasto l’associazione Asperger Abruzzo. Dopo 2 anni, ad oggi siamo 250 famiglie.

Cosa vuol dire essere madre di un Asperger?

In realtà ne ho due: il primo, Christian, 16 anni che sta per essere dimesso dal percorso terapeutico perché ha raggiunto gli obiettivi, e un bimbo, Thomas, di 6 anni, che fa terapie da quando aveva 17 mesi. Loro hanno una diagnosi di autismo livello 1 perché, se vogliamo essere precisi, la parola Asperger è stata abolita 10 anni fa nel DSM 5 (il Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali, ndr).

Per chiarezza: il DSM 5 ha di fatti eliminato la categoria diagnostica “Sindrome di Asperger”, che era inserita nel DSM – IV. Il termine “Disturbi dello Spettro Autistico” abbraccia infatti una macrocategoria non sottotipizzata. Sta quindi agli indicatori di gravità il compito di distinguere gli aspetti riconducibili a questa sindrome. (Vivanti et al., 2013).

Le implicazioni dipendono sostanzialmente dalle problematiche che possono esserci. Mio figlio grande ha una vita sociale di tutto rispetto. Quello piccolo ha ancora problemi comportamentali ma solo a casa: come succede per la maggior parte degli autistici, a casa dà il “meglio” di sé… A scuola il piccolo ha il sostegno, ha difficoltà a tenere la penna, ha un disturbo dell’attenzione, a volte non comprende il non detto ma soprattutto la comunicazione non verbale, ha delle rigidità, non sopporta l’attesa, ha disturbi sensoriali (il grande per esempio non sopporta la luce solare; al piccolo dà fastidio l’acqua sulla faccia).

Il grande non riesce a porre attenzione sulle cose che non gli stimolino interesse. Inoltre entrambi hanno scarsa autostima e difficoltà a gestire le proprie emozioni, prendono tutto come rabbia quando magari può essere delusione o dispiacere.

E allora come e dove si capisce che è autismo livello 1 (ex Asperger)?

Per intenderci quello piccolo ha cominciato a parlare intorno ai 2 anni e mezzo, usa termini molto fioriti, ha interessi molto forti. Caratteristiche evidenti.

Come si è accorta della loro neurodiversità?

Io molto presto, quando erano molto piccoli. Il problema è che nessuno mi credeva. Soprattutto col grande, tutti mi davano della pazza, il pediatra minimizzava e diceva che ero troppo apprensiva. Il bello è che questo è un racconto solito tra le mamme, apparteniamo tutte alla categoria “mamme matte ed esagerate” – e la sento sospirare Marie Hélène. È sempre colpa nostra e consideri che una diagnosi di autismo, con le nuove tecniche, potrebbe arrivare anche già a 6 mesi di vita.

Che difficoltà ha ad oggi?

Se le parlo come presidente della associazione le devo dire che la maggior parte delle famiglie non sentono il proprio figlio accettato, se le parlo come Marie Hélène sono stata accettata ovunque e né io né loro ci siamo mai sentiti esclusi. Una cosa è certa: io non metto sotto alla gonna i miei figli e ciò consente loro di crescere bene. Loro imparano con l’esperienza, ma se non gliela fai fare quest’esperienza di difendersi quand’è che diventano grandi?

Qui in Abruzzo io ho coltivato nelle mamme la normalità di essere diversi e non di essere malati. Sono solo diversi, non speciali, perché sono bambini prima di ogni altra cosa. A me il termine speciale non piace. Prima le famiglie non chiedevano aiuto per non far sapere alla gente che il figlio aveva un problema, ora, con l’associazione, ho fatto entrare in terapia più di 200 bambini, anche facendoli trasferire dal Molise.

Ma le posso dire una cosa: da quando ho ottenuto tutto, io ho una vita come tutti gli altri. Prima non potevo uscire, la situazione era davvero drammatica. Le terapie hanno modificato la nostra traiettoria: noi mamme degli autistici non facciamo le mamme come tutte le altre, non possiamo utilizzare il nostro istinto materno perché sbagliamo! Ecco perché abbiamo bisogno di un supporto e di un esperto ci dica cosa fare e cosa no.

Se ne parla ancora troppo poco?

Purtroppo sì, ma i gruppi continuano per fortuna a fiorire.

Consideri solo che generalmente ancora si esce dal neuropsichiatrica e ci si chiede dove andare, cosa fare. Io cominciai le terapie del piccolo a Pescara. Quattro volte a settimana da Vasto a solo 17/18  mesi di Thomas, poi da sola mi sono messa a studiare le leggi e a capire che avevo diritto alle terapie nel luogo di residenza. Feci un percorso mediatico e legale contro la ASL, vinsi un ricorso ma la ASL non applicava la sentenza, feci uno sciopero della fame e della sete.

Perché si deve arrivare a questo punto?

Perché non si approfondisce, le istituzioni non garantiscono diritti e perché ti dicono che le cose devono andare così e purtroppo molte famiglie si fermano lì. Il problema più grande è che i centri terapeutici non danno sempre le giuste terapie. Se ne escono con la logopedia e la psicometricità, non fanno il training genitoriale fondamentale per spiegare come fare.

Ed eccola lì Marie Hélène Benedetti, che non si è piegata nemmeno un attimo. E sul filo dell’ultimo minuto mi fa:

Guardi che non mi fermo, la lotta per ottenere dalla ASL di Lanciano Vasto Chieti una Neuropsichiatria operativa in regola con i parametri richiesti per legge per tutte le necessità di tutti i bambini e adolescenti è ancora aperta…

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