Juan Carrito: l’orso che voleva avvicinarsi all’uomo, morto per mano dell’uomo

Juan Carrito, l'orsetto marsicano conosciuto da tutti, non c'è più. Adorava spingersi fino ai centri abitati, verso l'essere umano. Morto in una collisione, sul ciglio della strada. Con lui abbiamo fallito ancor prima dell'incidente che gli ha tolto la vita nelle ultime ore

Orso M20, per tutti conosciuto solo come Juan Carrito. Un esemplare di orso bruno marsicano, uno dei quattro figli della famosa cucciolata di Amarena, cresciuto in un ambiente antropizzato, segnalato e paparazzato un po’ ovunque nel territorio abruzzese in cui si estendono il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise e il Parco Nazionale della Maiella.

Alla stazione di Roccaraso, a Pescocostanzo, in vicinanza di alberghi e sentieri tra la neve e ancora presso aziende del posto a fare scorpacciata di miele o a cercare cibo tra i rifiuti, immagini che hanno fatto il giro d’Italia. Juan Carrito era un orso troppo confidente nei confronti dell’essere umano.

Guardiaparco e veterinari avevano più volte tentato di correggere questi comportamenti sbagliati perché non nella natura di un orso. Era stato prima trasferito, confinato poi nell’area faunistica a Palena. Qui è stato messo in atto un rigido protocollo, monitorando il plantigrado h24 ed evitando qualunque contatto con il personale.

Poi il reinserimento in natura, tra i boschi, tra le montagne a cui l’orso appartiene. Ma Juan Carrito non ha mai preferito questi luoghi e, così socievole con tutti, ha continuato ad avvicinarsi ad ambienti non idonei. E qui ha trovato la morte. Sulla Strada Statale 17 una vettura lo ha investito. Per lui non c’è stato nulla da fare.

Morto per il trauma del colpo dopo minuti di agonia come riferito dall’Ente Parco, piegato sul ciglio della strada, l’ultima che ha potuto percorrere.

J. Carrito era un orso problematico ma al Parco abbiamo fatto di tutto, contro tutto e tutti, per dargli una chance e farlo rimanere libero, ha scritto il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise sulla sua pagina Facebook.

Ma no, non abbiamo fatto di tutto. Juan Carrito sarebbe deceduto pressoché sul colpo quando un’automobile lo ha preso in pieno. Come lui sono migliaia gli esemplari della fauna selvatica che vengono tamponati ogni giorno, mese, anno sulle strade di ogni regione. Orsi, caprioli, cervi, cinghiali, ricci. Alcuni periscono all’istante, altri muoiono dopo una lacerante agonia. Altri ancora finiscono schiacciati sotto le ruote dei veicoli.

Ma come mai tutto questo continua ad avvenire? Perché nei parchi, nelle aree adiacenti e sui sentieri di montagna non si guida a una velocità moderata. Conoscendo il percorso o vedendo la strada libera, si spinge sull’acceleratore dimenticandosi di tutto e tutti. Ma quei sentieri e quelle strade attraversano la casa di tanti animali.

Non è possibile prevenire il passaggio della fauna selvatica, ma incidenti che costano la vita agli animali e lasciano i loro piccoli orfani sì. Guidare con estrema prudenza consente di proteggere la fauna selvatica dall’elevato rischio di investimenti. Ed è questo che dovremmo monitorare oltre a considerare passaggi per l’attraversamento di animali selvatici o catarifrangenti blu come quelli dell’Alto Adige.

Juan Carrito rimarrà nel cuore di tutti, un ricordo amaro di come abbiamo fallito nella tutela di questo orso e della sua specie ancora prima dell’incidente fatale. Come lo abbiamo fatto inseguendolo per poterlo fotografare, incentivando le sue abitudini e rendendolo un animale spavaldo desideroso di avvicinarsi all’essere umano, morto per colpa dell’essere umano.

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