Com'è possibile che gli edifici e le infrastrutture costruiti ai tempi dell'Antica Roma abbiano resistito per millenni, restando praticamente intatti in molti casi? La risposta arriva da un recente studio portato guidato dal Massachusetts Institute of Technology: la chiave sta in una tecnica decisamente all'avanguardia per l'epoca, a cui potremmo ispirarci oggi per realizzare costruzioni che durano più a lungo
Sono in piedi da secoli, hanno resistito a terremoti molto violenti e altri disastri naturali. Stiamo parlando degli acquedotti, dei ponti e delle altre infrastrutture realizzate ai tempi dei Romani. Tanti edifici risalenti di quell’epoca si presentano ancora in ottimo stato di conservazione.
Qualche esempio? Il famoso Pantheon di Roma, con la cupola in cemento non armato più grande del mondo; la sua costruzione è inziata nel 27 a.C. per volere Marco Vipsanio Agrippa e ancora oggi possiamo ammirarlo in tutto il suo splendore. Tutto questo mentre strutture risalenti alla storia moderna si sono rovinate dopo pochi decenni.
Vi siete mai domandati come sia possibile? Da sempre l’architettura romana affascina gli studiosi; di recente, però, un team di ricercatori del MIT di Boston, in collaborazione con l’Università di Harvard e alcuni esperti italiani e svizzeri, sono riusciti a svelare il segreto che si cela dietro la resistenza di edifici e infrastrutture dell’Antica Roma.
Per molto tempo gli scienziati ipotizzato che la chiave della durabilità dell’antico calcestruzzo utilizzato dai Romani fosse legata ad un ingrediente, ovvero il materiale pozzolanico come la cenere vulcanica proveniente dalla zona di Pozzuoli, nel Golfo di Napoli.
A un esame più attento, si è scoperto che questi antichi campioni contengono anche piccoli frammenti di minerali di un bianco brillante, che rappresentano una una componente onnipresente dei calcestruzzi romani. Questi frammenti minuscoli, spesso indicati come “clasti di calce”, provengono appunto dalla calce, un altro elemento chiave dell’antica miscela impiegata per le costruzioni.
“Da quando ho iniziato a lavorare con il cemento dell’Antica Roma, sono sempre stato affascinato da queste caratteristiche” racconta Admir Masic, professore di ingegneria civile e ambientale del MIT, autore dello studio apparso sulla rivista Science Advances.
“Questi non si trovano nelle moderne formulazioni, quindi perché sono presenti in questi materiali antichi?” si domanda Masic.
La tecnica all’avanguardia utilizzata dai Romani
La nuova ricerca suggerisce che questi minuscoli clasti di calce conferissero al calcestruzzo una capacità di autoriparazione che in precedenza era stata ignorata.
L’idea che la presenza di questi clasti calcarei venisse attribuita allo scarso controllo di qualità mi ha sempre infastidito – continua il professor Masic. – Se i romani si sono impegnati così tanto per realizzare un materiale da costruzione eccezionale, seguendo tutte le procedure dettagliate che erano state ottimizzate nel corso di molti secoli, perché avrebbero dovuto impegnarsi così poco per garantire la produzione di un prodotto finale ben miscelato? ? Ci deve essere di più in questa storia.
Spinti da queste domande, i ricercatori sono voluti andare più a fondo in questa storia. Dopo un’ulteriore caratterizzazione di questi clasti di calce, facendo ricorso a tecniche di imaging multiscala e mappatura chimica ad alta risoluzione sperimentate, hanno acquisito nuove informazioni sulla potenziale funzionalità di questi materiali.
Analizzando i campioni di questo antico calcestruzzo, Masic e il suo team sono giunti alla conclusione che quei frammenti bianchi erano costituiti da varie forme di carbonato di calcio; inoltre, l’esame spettroscopico ha suggerito che questi si erano formati a temperature estreme. Dunque la chiave della resistenza eccezionale delle strutture romane sta proprio in questa miscelazione a caldo.
I vantaggi della miscelazione a caldo sono duplici – spiega Masic. – In primo luogo, quando l’intero calcestruzzo viene riscaldato a temperature elevate, questo processo permette a sostanze chimiche di produrre composti associati che non si formerebbero senza il calore. In secondo luogo, questa temperatura aumentata riduce significativamente i tempi di indurimento e presa poiché tutte le reazioni sono accelerate, consentendo una costruzione molto più rapida.
I risultati dell’esperimento
Per dimostrare che questo era effettivamente il meccanismo responsabile della sorprendente durabilità del calcestruzzo romano, il team ha prodotto dei campioni di calcestruzzo miscelato a caldo che prevedevano sia formulazioni antiche che quelle moderne e poi vi ha fatto scorrere l’acqua attraverso le fessure. Risultato? Quelle antiche si sono rivelate più resistenti.
Entro due settimane le crepe erano completamente guarite e l’acqua non poteva più scorrere. – sottolineano gli scienziati – Un pezzo identico di cemento, fatto senza calce viva, non è mai sanato e l’acqua ha continuato a fluire attraverso il campione.
Adesso il team di ricercatori sta lavorando per mettere in commercio questo tipo di calcestruzzo super resistente, rendendolo in grado di assorbire l’anidride carbonica per ridurre l’impatto ambientale del settore edilizio.
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Fonti: MIT/Science Advances
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