Nelle notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi è stata uccisa l’attivista Berta Cáceres, che da anni lottava per difendere i diritti delle popolazioni indigene dell'Honduras e che nel 2015 aveva ricevuto il prestigioso Goldman Environmental Prize, da molti considerato il Nobel per l'ambiente.
Nelle notte tra il 2 e il 3 marzo scorsi è stata uccisa l’attivista Berta Cáceres, che da anni lottava per difendere i diritti delle popolazioni indigene dell’Honduras e che nel 2015 aveva ricevuto il prestigioso Goldman Environmental Prize, da molti considerato il Nobel per l’ambiente.
Secondo la polizia, la donna sarebbe stata assassinata da due o più uomini armati nel corso di un tentativo di rapina, mentre stava rientrando nella sua casa di La Esperanza, nell’ovest del Paese centroamericano. Secondo altre fonti, invece, l’attivista sarebbe stata colpita nella sua camera da letto, mentre dormiva. Nell’aggressione sarebbe rimasto ferito anche il fratello.
Nonostante la polizia abbia sostenuto sin da subito la tesi della rapina finita male, l’ottantaquattrenne Berta Flores, madre di Cáceres, ha collegato l’omicidio all’attivismo della figlia, da anni impegnata contro la costruzione di una diga e contro lo sfruttamento dei territori indigeni.
“Non ho alcun dubbio che sia stata uccisa a causa della sua lotta e che i soldati e la gente della diga siano responsabili.” – ha dichiarato Flores ai microfoni di una radio – “Ne sono sicura. Ritengo il Governo responsabile.”
Cáceres, che proprio oggi, 4 marzo, avrebbe compiuto gli anni, apparteneva al popolo Lenca, il gruppo etnico indigeno più numeroso dell’Honduras, e nel 1994 aveva fondato, con l’allora marito Salvador Zuniga, il Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene (Copinh), un’associazione dedicata alla difesa dell’ambiente e, in particolare, dei fiumi, che la tradizione lenca considera sacri, animati da forze spirituali.
Aveva guidato con carisma e determinazione la comunità di Rio Blanco nella lotta contro la realizzazione dell’ambizioso complesso idroelettrico Agua Zarca, nel bacino del fiume Gualcarque, nell’Honduras nordoccidentale. Il progetto, che avrebbe stravolto gli equilibri naturali della regione e compromesso l’approvvigionamento idrico di circa 600 famiglie, era stato approvato dal Governo honduregno senza richiedere il parere e il consenso degli indigeni della regione, in aperta violazione dei principi espressi dalla Convenzione ILO 169, che dal 1989 riconosce ai popoli indigeni il diritto all’autodeterminazione e che è stata sottoscritta, a suo tempo, anche dall’Honduras.
La donna e la sua famiglia hanno più volte subito minacce e intimidazioni, sia da parte delle autorità che da parte di proprietari terrieri locali. Negli ultimi anni, ben 10 membri del Copinh sono rimasti vittime di omicidi rimasti impuniti e, per scongiurare il rischio di sequestri, Cáceres si è vista costretta a separarsi dai suoi quattro figli, mandandoli a vivere in Argentina. Ciò nonostante, non ha mai smesso di lottare per la causa indigena, perorandola anche al di fuori dei confini honduregni, di fronte alla Corte europea di Strasburgo, presso la Banca Mondiale e, appena qualche mese fa, in Vaticano.
“Dobbiamo intraprendere la lotta in tutte le parti del mondo, ovunque siamo, perché non abbiamo un pianeta di ricambio o di sostituzione.” – aveva detto al Guardian dopo aver ricevuto il Goldman Prize – “Abbiamo solo questo, e dobbiamo agire.”
Parole che, oggi, dopo la sua scomparsa, suonano come un testamento spirituale, un invito a portare avanti la sua missione, consapevoli dei rischi della lotta ma anche dell’importanza dell’obiettivo: una società più giusta, più solidale, capace di garantire i diritti di tutti e, soprattutto, di rispettare la natura.
Un compito che, in Honduras, sembra ancora più arduo che altrove. Secondo l’organizzazione non governativa Global Witness, negli ultimi anni il Paese centroamericano è diventato il più pericoloso al mondo per gli attivisti ambientali, con 101 omicidi registrati nel periodo 2010-2014. Si tratta di delitti che rimangono impuniti, perché troppo spesso avallati, in qualche modo, da chi dovrebbe impedirli: lo Stato. Una tendenza che la stessa Caceres aveva denunciato lo scorso anno in un’intervista rilasciata alla CNN.
“Lo Stato honduregno sta mettendo in atto una politica di criminalizzazione. Lo si vede dalle leggi che sono state approvate. Hanno criminalizzato il diritto umano a difendere il bene comune e l’ambiente, dando alle multinazionali il privilegio incredibile di operare in Honduras in assoluta impunità.”
Il fatto che Cáceres, pur conscia del pericolo che incombeva su di lei, non si sia mai fermata e non abbia mai smesso di portare avanti la causa del suo popolo, ne fa un vero esempio di coraggio e di dignità. E noi vogliamo ricordarla così, mentre ritira il Goldman Prize e, nel suo discorso di accettazione del premio, esorta l’umanità a svegliarsi, perché non c’è più tempo da perdere.
Addio Berta, grazie per il tuo esempio di incredibile coraggio e lotta per la giustizia. Sei stata sempre un’eroina senza paura. Sapevi dei rischi che correvi con il tuo lavoro, ma hai continuato a difendere la tua terra e la tua gente con forza e convinzione.
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