Le definizioni non mi piacciono, sono sempre riduttive, soprattutto se tentano di definire i bambini. Bambini indaco, bambini cristallo. Ho sempre preso questi appellativi con le pinze, con la dovuta diffidenza.
Intanto, crescevo le mie bambine. Intelligenti, ipersensibili, a volte misteriose, difficili. Soprattutto Emily, con i suoi urli capaci di far ammutolire un intero aereo. Con il suo odio per l’automobile, iniziato appena nata. Con la sua voglia di giocare e comunicare, anche di notte, anche quando io non ce la faccio più. Con le sue crisi di urla e pianti senza un motivo apparente, che si esauriscono tra le mie braccia mentre nessun altro si può avvicinare, mentre la stringo per confortarla, e perché non si faccia male. Emily, con la sua meravigliosa luce e le sue improvvise tempeste, che mi lasciano stremata. Emily con la sua gioia, la sua dolcezza, la sua irrefrenabile intensità. Che insieme al nome, le avessi scelto un destino? Emily come Emily Dickinson e Emily Brontë, anime inquiete, cime tempestose.
Non capivo cosa non andasse, visto che sono sempre con lei, sempre. È stata accolta nel mondo con tutta la dolcezza possibile: ha dormito sul mio petto dalle prime ore di vita, per oltre un anno, quando lei stessa ha deciso che era ora di stendersi al mio fianco, e poi nel suo lettino attaccato al nostro. È stata portata in fascia finché lei stessa ha preferito correre. È tuttora allattata al seno, da pochi giorni abbiamo serenamente tolto le poppate notturne e questo ha migliorato la qualità del sonno. Mi chiedevo: dove, come ho sbagliato? Quando l’ho ferita? Siamo stati da pediatri di diversi approcci, tutti concordi nel trovarla intelligente e sana. Incapace di gestire le emozioni negative come rabbia e stanchezza, ma perfettamente sana.
Eppure, quando la stringevo tra le braccia mentre lei gridava e piangeva, cercando di divincolarsi per poi abbracciarmi, tirarmi i capelli e divincolarsi di nuovo, provavo un’angoscia opprimente. C’è qualcosa che non va. Ho paura.
Facendo ricerche, chiedendo anche aiuto ad una rete di mamme, ho incontrato due parole, due piccole luci che hanno rischiarato molte zone buie.
Spirited child.
Emily è una spirited child. Non si tratta di una definizione, di un appellativo che spegne i colori. Si tratta, piuttosto, di uno spiraglio, una fessura dietro cui si nasconde una luce speciale. Spirited child, due parentesi che abbracciano senza chiudere, un mantra che rassicura e che, senza etichettare, dà un senso. Scoprire questa realtà mi ha, infatti, molto rassicurato. Essere genitori non è mai semplice, ma con uno spirited child la sfida è maggiore, perché è bambinosità all’ennesima potenza. Perché la sensibilità estrema porterà questi bambini a piangere e urlare per dettagli minimi, sfumature quasi invisibili. Nonostante gli abbracci infiniti, la pazienza, l’amore. Nonostante il tempo completamente dedicato a loro.
Una traduzione italiana precisa non esiste, ma a me piace dire “i bimbi di luce”, perché hanno questa scintilla, questa vita che riverbera da tutto il loro essere, e che non sempre trova canali semplici e “piacevoli” per esprimersi.
Questi bambini dormono meno e in maniera più irregolare rispetto agli altri, tenendo presente che i risvegli notturni nei primi 3 anni sono fisiologici e del tutto normali. Ma i bimbi di luce, in questo, sono veramente estremi.
Sono molto intelligenti, ipersensibili, ma spesso si arrabbiano perché sono troppo piccoli per esprimere tutto ciò che provano. E quando si arrabbiano, si scatena la tempesta.
Sono pieni di energia, sembrano non stancarsi mai, fanno fatica a stare fermi. Non “come tutti i bambini”. Di più.
Alcuni stimoli sensoriali sembrano turbarli particolarmente: luoghi affollati, alcuni odori che magari gli altri non percepiscono nemmeno. Un costumino bagnato addosso può scatenare il delirio.
Vivono con particolare intensità i cambiamenti, anche i normali cambiamenti della vita, quindi le tappe della crescita sono spesso accompagnate da periodi di irrequietezza, che può sfociare in crisi di pianto e rabbia al minimo pretesto. E poi traslochi, viaggi, cambi di stagione…. La vita è cambiamento, e i bimbi di luce lo affrontano a modo loro.
I genitori non possono che affrontare e contenere queste tempeste, quando capitano. Cercare di prevenirle, quando possibile.
Insegnare ai bimbi di luce a riconoscere le proprie emozioni, a dar loro un nome.
E sempre, ogni giorno, godere della luce di questi bimbi, stringerli forte, viverli attimo dopo attimo. Crescere con loro, diventare grandi. Imparare una pazienza che non sospettavamo in noi. Una resistenza inaspettata alle notti senza sonno e ai giorni senza riposo.
Anche i fratelli e le sorelle più grandi dovranno avere pazienza, sopportare mamme stanche e case a volte silenziose, perché il raro, leggerissimo sonno dei bimbi di luce non va disturbato e ogni attimo è prezioso.
Non che la paura mi sia del tutto passata. Ma mi sento un pochino più forte, un pochino più sicura. E sempre e più che mai, piena di amore e gratitudine per le mie bambine, per le loro luci e le loro tempeste.
(Per chi volesse approfondire l’argomento, suggerisco i principali testi disponibili:
Raising Your Spirited Child di Mary Sheedy Kurcinka, Living with the Alert Active Child di Linda S. Budd, The Difficult Child del Dr. Stanley Turecki, e Parenting the Fussy Baby and the High Needs Child by Martha Sears and Dr. William Sears.)