Svolta nella politica comune della pesca (PCP). Ieri l'Europarlamento ha approvato una riforma storica che potrebbe garantire la sostenibilità del settore tutelando a lungo termine le specie ittiche, messe a rischio dalla pesca intensiva
Svolta nella politica comune della pesca (PCP). Ieri l’Europarlamento ha approvato una riforma storica che potrebbe garantire la sostenibilità del settore tutelando a lungo termine le specie ittiche, messe a rischio dalla pesca intensiva.
Dopo la riforma del 2011 sulla PCP, l’Unione Europea ha deciso di modificare la propria strategia con un intervento mirato a ripopolare i mari e a tutelare le specie di pesci ormai ridotte allo stremo. Dal 2015, gli Stati membri non potranno stabilire quote di pescato troppo elevate. I pescatori dovranno inoltre rispettare il cosiddetto “rendimento massimo stabilito“, non potranno cioè catturare più di un certo numero di esemplari di una certa specie rispetto a quanti se ne possano riprodurre in un anno.
Attraverso tale misura, gli eurodeputati sperano in una ripresa degli stock ittici a partire dal 2020, quando i livelli del rendimento massimo stabilito potranno essere nuovamente innalzati: “Ciò significherà più pesce, battute di pesca più ricche e quindi più lavoro nel settore” si legge in una nota dell’Ue.
Secondo i dati della Commissione europea oltre l’80% degli stock ittici del Mediterraneo e il 47% di quelli dell’Atlantico sono soggetti a pesca intensiva. Per questo serve un intervento deciso. La riforma votata in plenaria ha stabilito dunque misure più rigide per affrontare il problema, con 502 voti a favore, 137 contrari e 27 astensioni.
La riforma, che dovrebbe entrare in vigore nel 2014, obbligherà i pescherecci a sbarcare tutte le catture, anche per facilitare il controllo, secondo uno specifico calendario per ogni specie. Perché? Oggi quasi un quarto del totale del pescato finisce rigettato viene cioè scaricata in mare se non desiderati o ritenuto troppo piccolo. I cosiddetti rigetti sono quasi totalmente pesci ormai morti. Una pratica dannosa, questa, che ha mosso l’intervento dell’Ue. Secondo le nuove norme, i pesci più piccoli sbarcati saranno destinati a usi diversi dal consumo umano e dovranno essere gli Stati membri ad assicurarsi che i pescherecci rispettino il divieto di rigetto.
“Abbiamo dimostrato oggi (ieri 6 febbraio, NdR) che il Parlamento è tutto meno che inefficace. Abbiamo usato il nostro potere di co-legislatori, per la prima volta nella politica ittica, per mettere un freno alla pesca intensiva. Gli stock ittici dovrebbero riprendersi entro il 2020, permettendoci di avere a disposizione 15 milioni di tonnellate di pesce in più e creare 37 mila nuovi posti di lavoro”, ha dichiarato la relatrice per la riforma della pesca Ulrike Rodust. Fatto questo inizierà per il Parlamento la fase di negoziazione con il Consiglio e con la Commissione per stabilire i piani della riforma prima della seconda lettura.
Xavier Pastor, Direttore Esecutivo di Oceana in Europa, ha così commentato la notizia: “Oggi, l’Ue ha fatto un passo considerevole verso la gestione corretta delle nostre risorse di pesca. A nome di Oceana, ringrazio tutti i rappresentanti dei cittadini europei per aver appoggiato gli appelli mondiali di agire urgentemente per la salute ed il futuro dei nostri oceani.”
Se si è giunti ad un risultato simile, dice Slow Food, è stato anche grazie all’intervento delle associazioni ambientaliste. “Plaudiamo al fatto che l’Unione Europea abbia capito la necessità di un intervento deciso sul fronte della tutela delle risorse ittiche. Chiediamo che, insieme alle misure contro l’overfishing basate sull’aumento di selettività della pesca, per le quali non possiamo che esprimere soddisfazione, si mettano in campo adeguate risorse economiche finalizzate al disinquinamento delle aree costiere. In tal senso auspichiamo che la Politica Comune della Pesca sia accompagnata da una altrettanto efficace politica ambientale europea” ha detto Silvio Greco, presidente del Comitato Scientifico di Slow Fish.
La presidenza irlandese del Consiglio spera di raggiungere un accordo entro la fine di giugno.
Francesca Mancuso
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