In seguito alla approvazione del Decreto Romani e dopo il tavolo tenico di venerdì scorso con i ministri dell'Ambiente, dello Sviluppo Economico e dell'Agricoltura (Stefania Prestigiacomo, Paolo Romani e Giancarlo Galan), si moltiplicano le prese di posizione e le proposte al Governo affinché tenga conto, nella determinazione degli incentivi al fotovoltaico del cosiddetto Quarto Conto Energia, delle esigenze degli imprenditori del fotovoltaico e della filiera del settore.
Il Decreto Romani stesso prevede che gli incentivi siano approvati con un apposito decreto, da emanare entro la fine dei Aprile. Tuttavia, secondo quanto annunciato dall’ormai ex ministro dell’Agricoltura, Galan, al termine dell’incontro di venerdì, il nuovo assetto del settore delle energie rinnovabili, incentivi al fotovoltaico compresi, dovrebbe essere definito nel giro di una decina di giorn al massimo. Per questo motivo si moltiplicano le prese di posizione, gli appelli e le proposte al Governo nel timore che un sistema di incentivi troppo basso, o il perdurare di elementi di incertezza, specie nel periodo di passaggio (anche se pare scongiurato il pericolo di un regime tranisitorio “terra di nessuno”) dal Terzo al Quarto Conto Energia, provochino un blocco degli investimenti futuri, ma anche di quelli in corso perché ritenuti non più remunerativi, in quanto fondati sui presupposti e sulle tariffe incentivanti del Terzo Conto Energia, destinato a finire con il 31 Maggio prossimo venturo.
Tra le proposta arrivare al Governo, nelle fila dei produttori del settore c’è, ad esempio, quella di ANIE/GIFI, di cui abbiamo già dato conto: secondo quanto riportato in un proprio comunicato, infatti è stata presentata la posizione espressa dai soci: “garantire i diritti acquisiti; eliminare il limite annuale di potenza incentivabile previsto dal Dlgs; prevedere un sistema incentivante virtuoso che assicuri stabilità e dia certezze al settore del fotovoltaico, proponendo il modello tedesco”.
C’è, poi, l’opinione di R.ETE. Imprese Italia (che racchiude Casartigiani, Cna, Confartigianato, Confesercenti e Confcommercio) che ha diramamto una nota contenente 4 proposte:
- immediata emanazione di una clausola di transizione che consenta di dare certezza agli investimenti in corso;
- definizione di nuovi obiettivi di potenza elettrica da fonte rinnovabile e da fotovoltaico in alternativa ai ventilati tetti alle risorse o alla potenza installata;
- salvaguardia soprattutto per i piccoli impianti di produzione “a tetto” delle famiglie e delle micro e piccole imprese artigianali, commerciali, turistiche e dei servizi;
- razionalizzazione e riformulazione delle voci che nella bolletta elettrica sono destinate al finanziamento della gestione degli impianti. Si tratta delle risorse destinate al CIP 6 e delle altre voci di spesa non necessarie, inclusa la rimodulazione della parte fiscale, che oggi grava soprattutto sulle piccole e medie imprese. Tutte queste risorse devono essere destinate al finanziamento di nuovi obiettivi di produzione da fotovoltaico senza gravare ulteriormente sui costi sostenuti dalle famiglie e dalle piccole e medie imprese.
Una protesta “sui generis”, poi, per l’Ente da cui proviene, è quella di Enrico Rossi, non già Presidente di una qualche associazione ambientalista o di produttori del settore fotovoltaico, bensì Presidente della Regione Toscana. Rossi aveva già annunciato di aver dato mandato all’ufficio legale della Toscana per capire se ci fossero elementi di incostituzionalità nel Decreto, ad esempio nel togliere alla Regioni la potestà a legiferare in materia di geotermico : la potestà legislativa sull’energia, infatti, non è eslcusiva dello Stato ma ripartita, tra Stato e Regioni. Inoltre Rossi aveva fatto sapere che, forse, il Decreto sarebbe potuto essere incostituzionale anche per eccesso di delega, cioè per non aver tenuto conto delle opinioni di alcune commissioni parlamentari, che sono rgani, appunto, del Parlamento, cioè l’organismo delegante le funzioni legislative al Governo per l’approvazione del decreto. Ma il battagliero Presidente Rossi, che ha comunque confermato di non escludere il ricorso alla Corte Costituzionale, qualora ci fossero gli estremi, ha anche avanzato delle proposte concrete, preoccupato della situazione delle aziende toscane e nazionali: mantenere fino al 31 dicembre 2011 le tariffe incentivanti previste dal Terzo Conto Energia, quindi adottare un sistema “a scalare” come nel resto dell’Europa.
“Le vicende di questi giorni – ha affermato il presidente della Regione Toscana – con il rischio nucleare da un lato e i pericoli per l’approvvigionamento delle energie fossili dalla Libia e dal Mahgreb, confermano quanto la scelta delle rinnovabili sia una scelta saggia, strategica e condivisa, una scelta di futuro per l’economia toscana. Per questo chiediamo, ed è la nostra linea del Piave, che il governo confermi gli investimenti in corso almeno per tutto quest’anno, anche se conveniamo che è necessario un riequilibro del mercato, ma sulla base di una diminuzione progressiva programmata dei supporti statali. È quanto hanno fatto gli altri paesi in Europa”.
È scesa di nuovo in campo, poi, la Cgil, ricordando i risultati del dossier dell’Ires “Energia e lavoro sostenibile”, a cura del Forum “Energie Rinnovabili e Sostenibili” della Cgil Nazionale. “Il taglio agli incentivi alle rinnovabili rischia di mettere in ginocchio un settore che conta oltre 100mila addetti e il futuro di centinaia di aziende – si legge in una nota del sindacato – Nel corso di questi anni, infatti, le energie rinnovabili hanno offerto concrete opportunità di crescita industriale, creando un segmento di occupazione “verde” che nel tempo ha superato per dimensioni settori tradizionali come quello della ceramica e del legno. L’impatto del decreto approvato dal governo – in attesa di ridefinire il meccanismo degli incentivi – si prospetta infatti “catastrofico” nei confronti di un settore fatto di 85mila imprese e che, soprattutto, è l’unico in crescita, e non in recessione, nel Mezzogiorno”.
La Cgil ricorda poi alcuni dati che, secondo il siandacato, dovrebbero far riflettere sul peso del settore: “Il campo delle rinnovabili ha registrato dal 2007 ad oggi un monte di investimenti pari a 3,5 miliardi di euro per una produzione pari a 6 mila megawatt”. Viene anche riportato un parallelo con il nucleare, sul cui ritorno tanto si discute in questi giorni: “Per costruire un reattore nucleare che produce 1.600 megawatt – dice la Cgil – è necessario un investimento che oscilla tra i 4 e i 5 miliardi di euro”. Il lavoro dell’istituto di ricerca della CGIL entra nel dettaglio di come è ripartita l’occupazione “verde” sottolineando come i settori delle rinnovabili più importanti sono l’eolico, con circa 10 mila addetti; il solare fotovoltaico, con circa 5.700 unità; e il comparto delle biomasse con pressappoco 25mila occupati. Il resto dell’occupazione verde si distribuisce con il geotermico, il solare termico, il mini idrico e le altre forme minori di produzione di energia da Fonti energetiche rinnovabili (Fer) che impiegano, tra diretti e indiretti, circa 50 mila lavoratori”.
Anche per questo, dunque, la CGIL ha rilancaito lo sciopero generale, in programma per il prossimo 6 Maggio.
In un clima, dunque, di atteso dibattito, è arrivato un importante contributo da Photon, che ha fatto il punto sulla situazione, proponendo un confronto tra il sistema di incentivi vigente in Italia e quello in viogore in Germania, il tanto citato ed apprezzato modello tedesco che ha fatto diventare la Germania uno dei leader mondiali nella produzione di energia elettrica da fotovoltaico.
Con il modello tedesco, dunque, sarebbe definitivamente abbandonata l’idea ( se ne discute porprio i questi giorni) di mettere un tetto massimo, su base annua, alla potenza incentivabile, al termine del quale cesserebbe ogni incentivo per i nuovi impianti allacciati alla rete. Gli incentivi tedeschi, però, non seguono il meccanismo premiante del “feed-in-premium” e sono, invece, onnicomprensivi. Il Governo tedesco, poi, attua una riduzione programmata degli incentivi in base alla potenza installata nell’ultimo periodo ma anche al progressivo abbassamento dei costi di installazione e produzione del settore fotovoltaico, dovuti all’aumento della produzione mondiale. Altre differenze sono che in Germania poco o niente è destinato all’autoconsumo e non si possono cumulare l’incentivo ed il profitto, cosa che avviene in Italia, almeno per le aziende più grandi. I sovvenzionamenti, infatti, in Italia riguardano la produzione di corrente fotovoltaica, mentre in Germania l’immissione in rete.
Per quel che riguarda le singole tariffe, la Germania prevede valori che vanno dai 21,11 centesimi di euro a chilowattora per gli impianti al suolo, ai 28,74 centesimi di euro per quelli posizionati sui tetti fino a 30 chilowatt di potenza. Ma bisogna considerare l’irraggiamento medio è pari a 900 chilowattora per chilowatt di potenza installata, mentre in Italia i livelli sono ben superiori.
Stando così le cose, dunque, il ritorno dell’investimento in Germania è pari a circa il 7,4% annuo. In Italia, viste le tariffe più alte (anche quelle che dovrebbero essere approvate a breve) e i maggiori indici di irraggiamento solare, i margini di recupero dell’investimento sono senza dubbio pù alti. Unico neo, in Italia i costi di installazione sono più alti. Ora la parola passa al Governo.