15 ore di registrazioni video e oltre 1000 foto realizzate in 27 allevamenti situati nelle province di Bologna, Cesena, Ferrara, Forlì, Ravenna e Rimini. Si tratta dell’investigazione più completa mai condotta in Italia sugli allevamenti di galline ovaiole, realizzata dagli attivisti di essereAnimali, che ci conducono per mano all’interno di ogni tipo di lager progettato dall’uomo per la detenzione di milioni e milioni di galline, da quello in Gabbia a quello a Terra, passando per quello all’Aperto e per il Biologico. I risultati smascherano molti luoghi comuni su questi infernali lager, dall’utilità delle gabbie arricchite alle migliori condizioni nell’allevamento biologico.
15 ore di registrazioni video e oltre 1000 foto realizzate in 27 allevamenti situati nelle province di Bologna, Cesena, Ferrara, Forlì, Ravenna e Rimini. Si tratta dell’investigazione più completa mai condotta in Italia sugli allevamenti di galline ovaiole, realizzata dagli attivisti di essereAnimali, che ci conducono per mano all’interno di ogni tipo di lager progettato dall’uomo per la detenzione di milioni e milioni di galline, da quello in Gabbia a quello a Terra, passando per quello all’Aperto e per il Biologico. I risultati smascherano molti luoghi comuni su questi infernali lager, dall’utilità delle gabbie arricchite alle migliori condizioni nell’allevamento biologico.
Ma andiamo con ordine. Basta dare un’occhiata alle immagini per capire che, in qualsiasi tipo di allevamento, le galline soffrono di carenze fisiche, evidenti nelle creste abbassate e nelle zampe bianche, causate dalla totale mancanza di luce solare, unita ad una dieta completamente inadatta induce in questi animali numerose carenze dal punto di vista biologico. Ricorrente anche la malformazioni del becco, determinata dall’amputazione che ne modifica la capacità di beccare e le costringe a convivere con problemi e dolori costanti dovuti all’esposizione dei centri nervosi. Quasi tutti gli esemplari presentano, poi, infezioni e malformazioni alle zampe, causate dalla crescita incontrollata delle unghie e dal continuo contatto con gli escrementi, soprattutto negli allevamenti a terra. Ma anche plumofagia e problemi al piumaggio, dovute sia all’aggressività tra le galline, accentuata dalle terribili condizioni di vita, che allo sfregamento con le grate delle gabbie.
“E‘ capitato di trovare capannoni con luce accesa a qualunque ora del giorno e della notte. Nei casi in cui abbiamo trovato animali al buio abbiamo notato un fenomeno molto esplicativo. Ogni qualvolta li abbiamo illuminati per le riprese video o le fotografie abbiamo assistito ad una vera e propria corsa al cibo. Questo fenomeno viene assecondato e incentivato nei momenti in cui è necessario sviluppare la crescita degli animali in breve tempo”, raccontano ancora gli attivisti. Capitolo a parte va riservato poi al sovraffollamento, essenza stessa dell‘allevamento, in quanto condizione necessaria per trarre il massimo profitto dagli allevamenti. Le galline vengono così costrette a calpestare i propri simili per dormire, per raggiungere il cibo o semplicemente per spostarsi, senza poter quasi mai aprire le ali.
Eppure, nessuna di queste problematiche viene curata o minimamente presa in considerazione e la morte di alcuni individui è un fattore che poco incide sui grossi numeri della produzione, tanto che la presenza di cadaveri è stata costante in ogni tipo di allevamento visitato, dove le carcasse vengono beccate e calpestate dagli altri animali, utilizzate come punto per depositare le uova o come superficie più comoda della grata metallica dove posarsi. L‘entità della mortalità all‘interno degli allevamenti è perfettamente percepibile dalle carcasse ammassate nelle celle freezer, stracolmi di vere e proprie montagne di corpi.
Insomma, le immagini mostrate da essereAnimali, ben lontane dalle illustrazioni di galline libere e felici che spesso appaiono nelle confezioni esposte nei supermercati, non sono altro che la “normalità”. Nessun caso “patologico”, come quello dell’allevamento Bruzzese finito recentemente nel mirino degli attivisti di Nemesi Animale. “Non abbiamo tentato –spiega essereAnimali- di filmare casi particolarmente drammatici, o ricercato condizioni limite o palesemente fuori norma. Queste non sono le crudeli conseguenze di un allevatore irresponsabile ma la normalità terrificante sfruttamento animale. Riteniamo che le immagini della quotidiana sofferenza di questi individui siano di per sé già sufficienti per emanciparsi dal consumo di uova”.
Così, fotogramma dopo fotogramma, questa colossale investigazione smonta pezzo dopo pezzo la convinzione che ancora hanno molte, troppe, persone, che credano che dietro al consumo di uova non vi sia alcuna sofferenza. E invece milioni di animali, che come noi sono in grado di percepire le emozioni, la gioia e il dolore, sono costretti, a causa delle loro uova, a vivere in condizioni agghiaccianti. La forza delle immagini smonta pure la beffa delle gabbie “arricchite”, diventate obbligatorie negli allevamenti in gabbia dal 1 gennaio 2012 grazie a una legge della comunità europea, che si rivelano solo minimamente più grandi nelle dimensioni e provviste di miseri arricchimenti ambientali che, come vedrete nel video, non modificano di molto la vita degli animali rinchiusi. “È stato molto difficile reperire strutture che hanno investito in questo adeguamento, e quando è successo le condizioni degli animali erano del tutto simili a quelle che avevamo già visto negli allevamenti in batteria, secondo alcune stime pare che il 50% delle aziende produttrici si debba ancora conformare alla nuova legge”, spiegano gli attivisti, secondo i quali tratterebbe di un escamotage per mettere a tacere la voce di chi vuole la fine dello sfruttamento animale.
Infine, eccoci arrivati al grande bluff degli allevamenti all’aperto e biologici: qui le galline dovrebbero trascorrere almeno qualche ora all’esterno dei capannoni, ma, secondo l’investigazione, in nessuno dei 7 allevamenti visitati c’erano animali all’aperto. In tutti erano presenti aperture che permettevano l’uscita a ristrette aree esterne, ma tutte erano ben sigillate e gli animali presentavano sempre le stesse problematiche: individui stressati, spaventati, feriti, malati, senza piume, con la cute arrossata, con infezioni e deformazioni alle zampe e, non di rado, cadaveri abbandonati tra la sporcizia o calpestati dai propri simili. Unica piccola differenza il minor sovraffollamento e il mangime biologico. E se anche il biologico fosse un mero stratagemma per quietare le spinte di chi lotta per chiedere condizioni di vita migliori? L’inchiesta ci impone di fare i conti con le nostre coscienze, perché il vero problema potrebbe non essere il “metodo” di detenzione degli animali, quanto l’allevamento in sé per sé.
Per ulteriori informazioni essereanimali.org/fabbriche-di-uova
Roberta Ragni