Clonare animali non è un argomento tabù in Cina, dove un impianto di Shenzhen "sforna" ormai 500 maiali ogni anno. L'azienda, gestita da una società chiamata BGI, impianta ogni giorno embrioni clonati in due maiali. Cloni e cloni di cloni sono allevati e utilizzati per testare nuovi farmaci in una fabbrica che opera accanto a un impianto di trasformazione di sequenziamento genetico
Clonare animali non è un argomento tabù in Cina, dove un impianto di Shenzhen “sforna” ormai 500 maiali ogni anno. L’azienda, gestita da una società chiamata BGI, impianta ogni giorno embrioni clonati in due maiali. Cloni e cloni di cloni sono allevati e utilizzati per testare nuovi farmaci in una fabbrica che opera accanto a un impianto di trasformazione di sequenziamento genetico.
I servizi offerti dalla BGI sono i più vasti nel campo della clonazione dei suini, ma i loro metodi sono meno sofisticati rispetto a quelli delle strutture nel resto del mondo. Invece di utilizzare macchine, BGI utilizza forza lavoro esclusivamente umana, impiegando una linea di assemblaggio che va dai 30 ai 50 lavoratori per effettuare la clonazione a mano.
I cloni neonati, poi, continuano a essere impiantati con embrioni clonati una volta cresciuti, perpetuando il processo. I ricercatori cinesi qui hanno anche iniziato il sequenziamento del gene, creando cucciolate di maiali geneticamente modificati, con il DNA ottimizzato per renderli più suscettibili a malattie come il morbo di Alzheimer. Lo scopo è quello di testare su di loro, dopo averli fatti ammalare, farmaci che dovrebbero trattare la malattia nell’uomo.
La BGI non è solo interessata al sequenziamento del gene di suini. I laboratori contengono giganti macchine per il sequenziamento genetico che eseguono codifiche incessantemente e per tutto, dal cibo agli animali. Con i suoi 156 sequenziatori fa imbiacare il secondo più grande centro di sequenziamento genetico nel mondo, il Wellcome Trust Sanger Institute, che vanta solo 30 macchine.
I prossimi passi? BGI prevede di sequenziare il genoma di un milione di persone, un milione di animali e un milione di piante, con la pretesa di sviluppare una migliore assistenza sanitaria e cibo gustoso. Obiettivi ambiziosi per un’azienda che serve ai suoi dipendenti nella mensa aziendale i prodotti modificati, per testare i miglioramnti di carne, verdure e persino yogurt.
Che dire dei rischi etici e di quelli per la natura e la biodiversità? BGI sostiene che tutto questo suo “armeggiare” non è destinato a nuocere, ma a fornire cibo per gli indigenti, medicine migliori e cibo più buono. Ma più che un paradiso il mondo che sta realizzando è un vero e proprio incubo.
Roberta Ragni
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