La Commissione Baleniera Internazionale IWC ha chiuso giovedì scorso con un giorno di anticipo. Le conseguenze: un anno di negoziato vanificato e nessuna tutela per le balene. A bloccare le trattative i cacciatori e i commercianti di carne di balena che sono riusciti a rinviare ogni decisione alla prossima riunione ad Agadir, in Marocco nel 2010.
Ma c’è chi pensa che il negoziato debba andare avanti e, a tal fine, è stato creato un “gruppo miniaturizzato” che da oggi inizierà a ridiscutere le soluzioni a questa situazione di stasi.
“L’unica cosa che va miniaturizzata subito è il rischio che grava sulle balene” – afferma Alessandro Giannì, direttore delle campagne di Greenpeace. E prosegue – “Non è chiaro il perché un gruppo miniaturizzato dovrebbe aver successo se un gruppo già piccolo ha fallito. Solo un’azione diplomatica decisa dei Paesi che dicono di essere contro la caccia baleniera, come l’Italia, può risolvere questa annosa vicenda. Intanto, ogni anno i cacciatori uccidono quasi 2000 balene!”
Balenottera franca, Balenottera azzurra e Capodoglio sono in una situazione particolarmente critica e il Giappone continua a cacciarle anche se la carne di balena non ha mercato.
Secondo le stime di Greenpeace il Giappone è in perdita: oltre 220 milioni di dollari da quando il governo giapponese ha ufficializzato quella che ha ribattezzato “caccia a scopi scientifici”. Il prezzo della carne di balena, poi, è sceso da 30 a 16,4 US$/kg dal 1994 al 2006. Sembra che le balene rendano più da vive che da morte.
È sempre Greenpeace a dare qualche numero: il whale watching – l’osservazione delle balene – attira in tutto il mondo tra 9 e 11 milioni di utenti l’anno, con un giro d’affari di 1-1,5 miliardi di dollari/anno.
In Norvegia nel 2008 i turisti che sono andati a fare whale watching hanno speso oltre 4 miliardi di dollari: 1.800 volte di più del valore della carne “prodotta”. In Islanda, la stima del 2007 era di un incasso tra 20 e 40 milioni di dollari all’anno.