Il referendum sulle trivelle spiegato in maniera semplice per votare informati

Cosa significa esattamente trivellare nei nostri mari? Cosa comporta l'estrazione di gas e petrolio? E chi lavora sulle piattaforme non avrà più un'occupazione? Cerchiamo di fare il punto sul referendum in maniera semplice.

Perché votiamo? È utile andare a votare? Perché votare sì? A cosa serve il del 17 aprile?

Stamattina è stata dura svegliarsi. Ancora imbronciato dal sonno e la bocca impastata, Matteo ha visto i miei appunti sul referendum per dire no alle trivelle e qualche locandina sparpagliata per casa. E ha cominciato a chiedere. A meno 10 giorni dal referendum, ha cominciato a chiedere. Cosa sono le trivelle? Perché il petrolio e il gas farebbero male? Al mare? Ai pesci? E il paesaggio lo rendono brutto? Ma noi moriamo?

A quest’ultima domanda ho sudato un po’ freddo, ma, forte del fatto che a scuola stanno preparando lo spettacolo di fine anno su temi ambientali, ho inforcato gli occhiali e gli ho fatto vedere un po’ di cose. Punto per punto, così come dovrebbero fare gli italiani chiamati a votare. Dai 18 agli ennemila anni, tutti dovrebbero guardare negli occhi i propri i figli e smetterla con questa lagna che tanto è inutile. E chi non ce li ha, i figli, abbandonasse il disfattismo tutto italiota.

Ecco, allora, qualche risposta che ho tentato di dare a mio figlio (e anche a qualche anziano che si “disperava” per la perdita di tanti, centinaia, migliaia di posti di lavoro. “Che Dio ci assisti” – ndr), senza riferirmi a leggi o decreti né riproporvi il quesito referendario che tanto già conoscete (vero?) e che è ben chiaro a questo link.

Cosa sono le trivelle?

Forse non tutti sanno che cosa sono realmente queste benedette trivelle, per cui in molti non hanno la reale percezione dell’enormità della cosa. La trivellazione è uno scavo, una perforazione in profondità eseguita nel terreno per la ricerca, in questo caso, di giacimenti petroliferi e di gas. Ma intaccare così un ambiente prezioso come il mare per cercare i cosiddetti idrocarburi e per estrarre gas non è cosa da prendere alla leggera: quelle cose enormi che vedi in mezzo al mare, figlio mio, che si chiamano piattaforme e che deturpano pure il paesaggio (cioè, lo fanno diventare brutto brutto) possono rilasciare sostanze chimiche tanto pericolose per il mare, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri che dentro al mare ci vivono. Per non parlare di tecniche come l’airgun (ma questo è una cosa che conoscono solo i grandi, forse), che sono delle esplosioni di aria compressa che alla fauna marina certo un po’ di noia la danno.

Ricordatevi che le piattaforme soggette a referendum, secondo dati Legambiente, ad oggi producono il 27% del totale del gas e il 9% del greggio estratti in Italia. Nel 2015, la produzione è stata di 542.881 tonnellate di petrolio e 1,84 miliardi di Smc (Standar metri cubi) di gas.

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Perché è pericoloso estrarre gas e petrolio

Già di per sé l’estrazione è un’attività che inquina: ovunque essa venga fatta, si può capire, figlio mio, che ha sempre un forte impatto sull’ambiente e ha effetti poco felici per l’habitat degli animali. Estrarre gas e petrolio alimenta poi quella industrietta che porta centinaia di quattrini a pochi eletti che è l’industria dei combustibili fossili (il petrolio, il gas e anche il carbone), che a sua volta fa uso di tantissimi prodotti chimici più o meno tossici, dall’estrazione fino alla combustione. Ti faccio qualche esempio: il benzene, che è usato come solvente per l’estrazione e la lavorazione del petrolio, del carbone e del metano, e che trovi in tante cose e prodotti, è un noto cancerogeno. Cioè, provoca tumori. Ma anche con la formaldeide non si scherza, e si usa quando si frattura con acqua a pressione e sostanze chimiche la roccia e l’argilla nel sottosuolo per liberare il gas metano intrappolato nei pozzi. Uno scherzetto non da poco che l’industria petrolifera non ti sta lì a spiegare.

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Ci sarà pure qualcuno che su queste piattaforme ci lavora. Dal 18 aprile che fine fa?

Si perdono, insomma, posti di lavoro? La domanda delle domande. Quella che mettono in campo tutti i detrattori del referendum, basandosi per la risposta su un’accozzaglia di dati lasciati alla rinfusa. Ebbene, in questo Paese dove la politica per un lavoro dignitoso è un passatempo, un gioco a scacchi, una bazzecola di poco conto che però, intanto, a me non darà la pensione e a te forse nemmeno un futuro qui, il problema ora è: i posti di lavoro che si perdono se al referendum vincono i sì.

Innanzitutto, quello che non si vuole dire è che un esito positivo del referendum farebbe cessare solo progressivamente, alla naturale scadenza, ogni attività petrolifera in corso. Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale dobbiamo esprimerci il 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di trent’anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione. Se la maggioranza vota Sì, le piattaforme non chiuderanno il 18 aprile ma saranno semplicemente ripristinate le scadenze delle concessioni rilasciate senza ulteriore proroga. È inutile qui sgranare dati e “fonti ufficiali”. Fossi del tutto disinteressata, voterei comunque sì per ripicca a tutta la cialtroneria dei dibattiti in tv.

Ma se il gas ci fa campare, se vincono i sì come facciamo?

In pratica: i giacimenti italiani soddisfano il nostro fabbisogno energetico? Altre parolone. Ricordiamoci che l’Italia dipende da sempre sulle importazioni di petrolio e di gas da altri Paesi, ma incrementare ora con tante trivelle in mare le estrazioni di gas e petrolio non sarebbe direttamente collegato al soddisfacimento, indipendente dall’estero, del nostro fabbisogno energetico (cioè di quanta energia abbiamo bisogno per sostenerci). Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque poche e insufficienti. Considerando il poco petrolio presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 7 settimane e le riserve di gas per appena 6 mesi.

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Se l’Italia non continua a mettere le trivelle, trivellerà qualcun altro nel nostro mare?

Quel qualcun altro è la Croazia e il mare è, ovvio, l’Adriatico. Allora: no. Nel Mar Adriatico l’Italia è l’unico paese ad avere decine di concessioni e piattaforme in mare anche a ridosso della costa. La Croazia ha 19 piattaforme per l’estrazione di gas a ridosso del confine delle acque di sua competenza, mentre il Governo croato ha già firmato una moratoria contro le nuove trivellazioni. La moratoria segue di qualche mese la rinuncia da parte di due compagnie petrolifere a proseguire le attività di ricerca di giacimenti in acque croate su 7 delle 10 aree che il Governo aveva dato in concessione.

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Ma se vincono i sì e poi non si fa quello che si è deciso?

Si possono aggirare i risultati? I soliti furbetti ne sarebbero capaci. “Fatta la legge, trovato l’inganno”, è un detto che va molto di moda nel Paese in cui vivi, figlio mio. Ma se vincono i sì, la cancellazione di quella norma che per ora permette ai signori del petrolio di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe operativa sin da subito. L’obiettivo del referendum è chiaro ed è quello di far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia sia assoluto e il Parlamento non può poi modificare il risultato che si avrebbe con la consultazione referendaria.

E se nessuno va a votare?

E allora, figlio mio, avresti ancora una volta la conferma che vivi in un Paese di Pinocchi e vecchie befane. E non è una favoletta.

Germana Carillo

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