Disastro ambientale in Brasile, arrivano le conferme sull’inquinamento del Rio Doce. Nel fiume sono stati rinvenuti livelli illegali di arsenico e di mercurio. L’istituto per la gestione delle acque di Minas Gerais ha trovato livelli di arsenico più di dieci volte superiori ai limiti legali lungo il Rio Doce.
Disastro ambientale in Brasile, arrivano le conferme sull’inquinamento del Rio Doce. Nel fiume sono stati rinvenuti livelli illegali di arsenico e di mercurio. L’Istituto per la gestione delle acque di Minas Gerais ha trovato livelli di arsenico più di dieci volte superiori ai limiti legali lungo il Rio Doce.
Tutto ciò a seguito del crollo di due dighe avvenuto lo scorso 5 novembre. La tragedia ha portato alla morte di almeno 13 persone e sta distruggendo la fauna del Rio Doce e l’ambiente circostante, a causa del fango tossico che ha ormai raggiunto il mare.
Il Rio Doce percorre 800 km dalla zona di Minas Gerais fino alla costa atlantica di Espirito Santo. Le società responsabili del disastro – Samarco, BHP Billiton PLC e Vale SA – continuano a sostenere che le sostanze presenti nelle acque del fiume dopo il crollo delle dighe non siano tossiche.
Ma l’agenzia delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato che esistono nuove prove che mostrano che il fango contiene alti livelli di metalli pesanti tossici e di altre sostanze inquinanti. Prima del crollo delle dighe, l’arsenico nel Rio Doce non era presente. Il fango tossico ha ucciso migliaia di pesci, probabilmente sia a causa del soffocamento che per le sostanze pericolose che contiene. Anche i livelli di ferro e manganese sono al di sopra della norma. Samarco continua però a ribadire che si tratta di sostanze inerti e quindi non pericolose.
L’avanzata del fango ha travolto gli impianti per il trattamento delle acque presenti lungo il Rio Doce, mettendo a rischio la disponibilità di acqua potabile per le popolazioni che vivono nelle città situate lungo il fiume.
Le Nazioni Unite hanno criticato il Governo brasiliano per la sua risposta insufficiente di fronte al disastro. Due esperti delle Nazioni Unite lo scorso 25 novembre hanno chiesto al Governo brasiliano e alle società coinvolte di adottare misure adeguate per proteggere l’ambiente e la salute delle comunità a rischio di esposizione a sostanze tossiche a seguito del crollo catastrofico delle dighe avvenuto lo scorso 5 novembre.
Secondo le Nazioni Unite, le misure adottate fino ad ora per arginare i danni sono chiaramente insufficienti. L’inquinamento del fiume sarebbe legato ai rifiuti ferrosi contenenti livelli elevati di metalli pesanti e di sostanze chimiche tossiche prodotti nell’area mineraria gestita dalla Samarco. È come se l’equivalente del contenuto di 20 mila piscine olimpioniche si fosse riversato sotto forma di rifiuti tossici contaminati nel fiume e nel sistema idrico lungo un percorso di 850 chilometri.
Il fango tossico è arrivato sulle coste compromettendo un importante habitat naturale per le tartarughe marine. Ora il Rio Doce è praticamente considerato un fiume morto dagli scienziati. Il fango tossico sta procedendo nel suo percorso contaminando delle aree naturali protette.
Sia le aziende coinvolte che il Governo sono responsabili di aver violato i diritti umani per non essere intervenute immediatamente per arginare il disastro. Non hanno saputo gestire una situazione di emergenza e ora la popolazione locale è continuamente a contatto con le acque inquinate.
Purtroppo il Rio Doce negli ultimi anni aveva già visto in pericolo la propria sopravvivenza, a partire dalla deforestazione che ha deturpato l’habitat naturale circostante. Come ci segnalano i nostri corrispondenti dal Brasile, il popolo dei Krenak, una tribù nativa del luogo, ora piange la morte del fiume e non può più berne le acque, ormai irrimediabilmente inquinate.
Marta Albè
Fonte foto: Reuters
Leggi anche:
BRASILE: CROLLANO DUE DIGHE, È IL DISASTRO AMBIENTALE PIÙ GRAVE MAI AFFRONTATO DAL PAESE
MEGA DISASTRO AMBIENTALE IN BRASILE: IL FIUME DI FANGO TOSSICO È ARRIVATO FINO AL MARE (FOTO)
MAREA NERA IN BRASILE: LA CHEVRON AMMETTE LA RESPONSABILITÀ, MA AFFONDA IL PETROLIO IN MARE?