Al di la’ degli shopper biodegradabili, portiamoci la sporta

Se vi trovaste un giorno a passeggiare tra bancarelle di un mercato oppure in un grande supermercato vi potreste accorgere quanto i nostri consumi stiano cambiando rapidamente, colpa della crisi, forse, ma soprattutto merito, o almeno è quel che si spera, di un rinnovato spirito ambientalista risorto come una fenice dalle ceneri dagli anni '80 in cui il tutto, e più, era necessario.

Se vi trovaste un giorno a passeggiare tra bancarelle di un mercato oppure in un grande supermercato vi potreste accorgere quanto i nostri consumi stiano cambiando rapidamente, colpa della crisi, forse, ma soprattutto merito, o almeno è quel che si spera, di un rinnovato spirito ambientalista risorto come una fenice dalle ceneri dagli anni ’80 in cui il tutto, e più, era necessario.

Basti pensare che da quando le buste di plastica sono diventate “fuorilegge”, la maggior parte di noi detiene come un Santo Graal ognuno nella proprio borsetta la sua shopper, di tessuto, di juta, di stoffa rigida, regalata da amiche a forma di frutta, ripiegabile e richiudibile da fare invidia a qualunque futuristico gadget di qualunque 007, riportanti sponsor e slogan di ogni natura, ma soprattutto perfetta perché permette un consumo virtuoso di materie prime.

Nel 2011 infatti sono state risparmiate 30mila tonnellate di sacchetti della vecchia plastica visto che sei persone su dieci arrivano in cassa già muniti di sporta e se la spesa viene fatta al supermercato la proporzione diventa otto su dieci.

Tempo fa ognuno di noi ha aderito e diffuso la campagna “porta la sporta” ed a quanto pare un”indagine condotta dall’istituto IPSO per conto di Assobioplastiche su un campione di 800 famiglie dimostra che è stato raggiunto l’obbiettivo: ridurre l’utilizzo di sacchetti usa e getta.

Dall’entrata in vigore del bando, i quantitativi di shoppers prodotti in plastica sono diminuiti di oltre il 20%, passando da 145mila tonnellate nel 2010 a 115mila dell’anno scorso.

A volte infatti ci dimentichiamo che grande danno fosse l’uso massiccio e continuativo degli shopper in plastica che fino poco tempo fa tutti noi usavamo impunemente: il tempo di decomposizione degli shopper compostabili è di qualche mese in compostaggio contro i 1000 anni richiesti dalle materie plastiche sintetiche derivate dal petrolio.

Certo ciò su cui però dobbiamo riflettere è che gli attuali shopper compostabili o quelli biodegradabili, sì sono compostabili ma richiedono comunque un grande consumo di risorsa e così, forse perché come dicevamo prima la crisi ha revisionato velocemente i nostri consumi o forse perché ci siamo resi conto che spendere ogni volta che facciamo la spesa 15 centesimi per una busta è una cosa stupida, ora tutti noi ci sentiamo un pochino più responsabili delle nostre azioni e questo non può che essere, a mio avviso, che l’inizio della strada giusta da percorrere.

Bisogna però ricordare come questa norma vieti sì l’uso di sacchetti di plastica, ma come invece non vieti la sua produzione come imballaggi industriali o ad uso commerciale prima della vendita al dettaglio, cosa che invece dovrebbe decisamente includere, a mio avviso.

Ma non dimentichiamoci che le bioplastiche possono ridurre la disponibilità di derrate alimentari, se prodotte a partire da prodotti agricoli come il mais, ed ecco che così la plastica tradizionale viene “arricchita” e resa “bio” con sostanze come l’ amido di granturco.

Se le più ottimistiche previsioni di utilizzo delle bioplastiche fossero confermate, l’ammontare di mais impiegato per la loro produzione arriverebbe a 0,04% della produzione mondiale annua, cosa non eccessiva, ma da non sottovalutare in un mondo in cui non tutti noi abbiamo cibo.

Una cosa decisamente importante è quel che si può leggere in noncicredo.org

“…non è proprio possibile considerare la questione ambientale come locale. Essa è universale perché l’ambente, l’acqua, l’atmosfera, i mari sono di tutti e la loro tutela compete ad ogni singolo individuo del pianeta. E non voglio neanche tornare sul fatto che una gran parte della plastica prodotta nel mondo finisce nei mari e negli oceani, distruggendo oltre alla vita marina, anche la capacità del plancton di contribuire a limitare l’effetto serra. Non si può certo dire che il Pacific Trash Vortex sia una invenzione di qualche fanatico. L’area è ben visibile di fronte alle coste hawaiane e a quelle giapponesi ed occupa una superficie grande come due volte gli Stati Uniti. Ecco allora che appare sensato pensare che la plastica sia un nemico dell’ambiente contro cui stabilire norme di difesa.”… “è necessario anche un cambiamento nelle abitudini degli italiani, o meglio dei molti italiani che hanno sempre vissuto l’usa e getta come una comodità invece che come una deviazione del consumismo

e questo ci deve assolutamente far riflettere sia sui nostri consumi che sulle nostre responsabilità, in ogni gesto svolto nel nostro quotidiano.

Kia – Carmela Giambrone

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