Coworking: ecco i luoghi del lavoro autonomo e condiviso

Si scrive coworking si legge condivisione, collaborazione, autonomia, accessibilità, flessibilità. È fratello di un fenomeno simile, il co-housing, e parente stretto di altre realtà in crescita come il car-sharing e il bike-sharing, ma anche dei GAS e del baratto. Si muove negli stessi territori della share knowledge, in compagnia dei social network alla Facebook o delle community alla maniera open source, con la differenza che il coworking ha bisogno di spazi fisici per concretizzarsi e diventare realtà.

Si scrive coworking si legge condivisione, collaborazione, autonomia, accessibilità, flessibilità. È fratello di un fenomeno simile, il co-housing, e parente stretto di altre realtà in crescita come il car-sharing e il bike sharing, ma anche dei GAS e del baratto. Si muove negli stessi territori della share knowledge, in compagnia dei social network alla Facebook o delle community alla maniera open source, con la differenza che il coworking ha bisogno di spazi fisici per concretizzarsi e diventare realtà.

E gli spazi che lentamente si stanno convertendo a ospitare i coworker sono sempre più numerosi e diffusi. All’estero, com’era facile immaginarsi, ma anche in Italia. Merito di un passaparola veloce ed efficace, ma soprattutto del fatto di essere una soluzione in grado di rispondere a modalità lavorative in veloce trasformazione e a esigenze di organizzazione del lavoro sempre meno statiche e passive.

Cos’è il coworking?

Immaginate di essere nel vostro ufficio, circondato dai colleghi, gli stessi con cui condividete il progetto che state portando avanti: ingegneri come voi, programmatori come voi, architetti come voi, avvocati come voi.

Ora immaginate di essere nello stesso ufficio ma di avere attorno persone le cui competenze sono completamente diverse dalle vostre. Un ingegnere alle prese con un progetto per una start up sulle energie rinnovabili, un web designer, un programmatore freelance, un professore universitario in trasferta. Davanti alla macchinetta del caffè, tra un sorso e l’altro, viene fuori che il programmatore può dare una mano all’ingegnere per il suo progetto e che il web designer ha le competenze per realizzare il sito internet della nascente società.

Autonomia, senso di comunità e spirito di collaborazione: sono questi gli ingredienti principali che caratterizzano i coworking. Luoghi in cui la condivisione dello spazio diventa chiave di accesso a opportunità, risorse e idee.

LE RAGIONI DI UNA VELOCE DIFFUSIONE

Il coworking nasce nel 2005 a San Francisco dalla mente di un freelance che voleva unire la struttura e la comunità tipici dell’ufficio da posto fisso all’indipendenza e alla flessibilità del lavoro autonomo. Un’esigenza diffusa che, data la velocità con cui il fenomeno si è espanso, in molti evidentemente condividono. È il caso di chi associa il proprio lavoro a un computer, una connessione internet e a volte una scrivania – magari quella ricavata in casa tra una libreria e il tavolo da cucina o quella messa a disposizione dell’azienda di cui si è fornitore, ogni tanto -. È il caso delle migliaia di home-worker che hanno aderito al telelavoro (potete scaricare qui la nostra guida) e di quanti, in periodo di ristrutturazioni aziendali cercano di ricostruire idee e network per ricominciare.

Quando il lavoro a casa si fa claustrofobico e avere sempre una rete wireless a disposizione in ogni luogo in cui ci si sposta è praticamente impossibile, il coworking arriva in soccorso.

Un luogo in cui si fondono tutti i comfort dell’ufficio (scrivania, connessione, stampanti, fax, sale riunioni, macchinetta del caffé…) e tutte le libertà della vita da libero professionista nomade. Si occupa lo spazio di cui si necessita, si paga per ciò che si consuma, si consuma per quanto si usa.

Tutto ciò tradotto significa riduzione dello spreco e diminuzione delle risorse inutili. Sia per se stessi sia per l’ambiente ovviamente. Tutto ciò a vantaggio di nuove forme di creatività e di cross-fertilization come amano dire gli americani, cioè di fenomeni di impollinazione reciproca tra competenze, clienti e progetti per portare nuova linfa dentro alle idee.

Il coworking in Italia

In Italia il fenomeno è nato sulla scia del modello americano, anche se inizialmente rispondeva più allo spirito dell’improvvisazione e della solidarietà che non a quello del mercato. Uffici troppo grandi venivano suddivisi in modo che la parte inutilizzata fosse data in affitto temporaneo a freelance o avventori di passaggio, in cambio di rette flessibili ed economiche.

L’evidenza di una domanda in crescita ha permesso di passare dalla fase sperimentale a quella attuale, diversificando l’offerta e aprendo il mercato a soluzioni diverse e nuove.

COWO

Coworking project o CoWo è considerata una delle prime esperienze organizzate di coworking. Da sei postazioni in eccesso dentro l’agenzia Monkey Business di Milano, Massimo Carraro ha creato un vero e proprio franchising del coworking. Dedicato soprattutto a chi è stanco di lavorare a casa da solo“, CoWo si rivolge da un lato a tutti i lavoratori apolidi e desiderosi di entrare in una struttura di ufficio senza sobbarcarsi le spese di struttura e dall’altro lato a chiunque possieda mq inutilizzati e desideri metterli a disposizione del network. Tutto ciò secondo disposizioni e vincoli determinati. In primis i prezzi, che restano fissi per tutti gli affiliati: si va dai 50 euro per un affitto di 3 giorni al mese, ai 250 per una postazione disponibile 24 ore su 24, sette giorni su sette. Con questa formula il network CoWo è a oggi composto da 34 spazi diffusi in tutta Italia, spesso presenti dentro altre realtà di ufficio che riconoscono nell’idea il potenziale, anche economico, che sta dietro l’apertura delle proprie stanze ad altri soggetti.

CoWo2

THE HUB

Differente è il caso di The Hub, un network internazionale con sedi in altre 21 città del mondo che è atterrato in Italia e precisamente a Milano qualche giorno fa e che prossimamente aprirà anche a Rovereto e Roma. Come ci sottolinea Federica Scaringella, una delle responsabili della sede milanese, “in The Hub l’aspetto del coworking inteso come condivisione dello spazio fisico è solo uno degli elementi che contraddistinguono l’idea.” The Hub, infatti, ama definirsi un pre-incubatore in cui soggetti di natura differente ma egualmente impegnati a portare avanti idee di natura sociale, imprenditoriale, associativa trovano un luogo comune in cui possono lavorare, ma soprattutto possono incontrarsi e essere seguiti lungo il percorso di avvicinamento alla realizzazione dei propri progetti.

thehub

Accanto alla connessione web, alla scrivania, alla poltrona e alla macchinetta del caffè the Hub mette a disposizione delle figure professionali proprie, gli host, che aiutano i coworker a interfacciarsi tra loro, sia all’interno dello spazio sia con tutti gli altri coworker che fanno parte del network di The Hub – composto da circa 6.000 persone – per individuare le forme di collaborazione più fruttuose e più efficaci “.

thehub2

Le tariffe che decretano l’affitto della postazione sono estremamente flessibili e variano in funzione del tempo e dello spazio occupato: dalla scrivania ad un posto sul divano, da 25 ore a tutto il mese.

TOOLBOX

Infine l’8 aprile apre Toolbox, l’esperimento torinese sul fronte del coworking. Mille mq progettati per accogliere 44 postazioni, una lounge per far attendere i clienti e gli ospiti, un’area relax per lavorare anche sul divano e numerose sale riunioni, semplici corner per telefonare, un patio e una cucina attrezzata in comune. Toolbox nasce come laboratorio per sperimentare nuove dinamiche lavorative in uno spazio creato ad hoc per accogliere i lavoratori del futuro: nomadi, transitori, essenziali.

Toolbox2

Ne abbiamo parlato con l’architetto che ha ideato il concept spaziale, Caterina Tiazzoldi, docente presso la Columbia University di New York. “Per l’ideazione di questo spazio mi sono ispirata al modello americano dei condomini in affitto: luoghi in cui gli spazi intimi si riducono al minimo per lasciare agli affittuari la possibilità di scegliere entro una vasta gamma di servizi comuni e super deluxe. Toolbox nasce quindi secondo un gradiente che va da un livello di massima intimità (i mini box insonorizzati in cui telefonare senza essere ascoltati) a uno di massima apertura (gli spazi lounge e i divani relax). Per realizzare ciò siamo partiti da un’analisi che abbiamo effettuato sulle varie esigenze dei futuri coworker, persone che hanno bisogno di una scrivania e di una connessione sempre funzionante ma che necessitano all’occasione anche di spazi di rappresentanza e applicazioni ad hoc. Per questo e per organizzare al meglio la condivisione viene offerta, insieme con il pacchetto base, anche una sorta di credit card con la quale poter usufruire di tutta una serie di servizi che esulano dalla tariffa base e che vengono ogni volta calcolati in funzione della totale armonia con i co-abitanti dello spazio.”

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Le tariffe lo rendono un luogo assolutamente competitivo rispetto a qualsiasi previsione di affitto di un classico ufficio e partono da 250 euro mensili per il pacchetto base. La metratura e il numero di coworker ne fanno il più grande spazio presente in Italia e aspira a fare da avanguardia ad altri esperimenti simili nel Paese.

COWORKING = GLOBALE + LOCALE = SOSTENIBILE

Stiamo assistendo all’ennesimo sintomo di un più ampio cambio di paradigma sociale o a una semplice e puntuale risposta alle costrizioni della crisi? Difficile dare risposte. Ciò che è certo è che il coworking ha dalla sua il vantaggio di confluire in una sempre più dominante prospettiva glocale (globale + locale): da un lato il radicamento del proprio lavoro nel territorio e la ricerca di un rapporto umano con il proprio vicino di scrivania e dall’altra la complementare possibilità di collaborare con qualcuno situato dall’altra parte dell’emisfero, generare progetti che non sentono il peso geografico della distanza e si realizzano nella reciproca collaborazione.

Tutto ciò senza sprecare un mq di troppo, senza moltiplicare il numero delle infrastrutture e senza consumare energia inutilizzata, ma godendosi il bello di un’immensa macchinetta del caffè di fronte alla quale ritrovarsi.

Pamela Pelatelli

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